IL DIARIO DI UNA TATA, di Shari Springer Berman e Robert ...
L.Travers e interpretata, grazie alla Disney, dall'anche più deliziosa Julie Andrew, pronta, al suo esordio, non solo a volare sui cieli di Londra ma a farsi assegnare un Oscar per le finezze con cui, ligia alla regia di Robert Stevenson, dava vita al suo personaggio magico. Una tata c'è anche nel film americano di oggi e anche lei, pur non pensando ancora di dedicarsi a quella professione (in realtà vuol diventare antropologa), si immagina per ben due volte di volare, appesa a un ombrello rosso, sui cieli di una Manhattan per ricchi dove poi tutte le sue imprese si svolgeranno. Imprese buffe, con accenti qua e là un po' ironici, anche se poi, alla fine, si tireranno delle somme molto morali (e un po' patetiche) sui doveri delle mamme nei confronti dei figli. La mamma, infatti, in cui si imbatte la tata di oggi, pur avendo un bel bambino, lo affida in tutto e per tutto a lei, sempre occupata com'è di condurre una vita di lusso tra ricevimenti, istituti di bellezza, acquisti in negozi prodighi di merci firmate, sorvegliando gelosa, nei ritagli di tempo, un marito dedito non solo all'alta finanza ma a tresche varie con segretarie giovanissime. I due registi che ci propongono queste imprese, Shari Springer Berman e Robert Pulcini, per un verso si sono un po' fatti beffe degli ambienti ricchi e mondani di Manhattan, per un altro hanno portato avanti le vicissitudini della tata (anche con un piccolo amore di contorno) che quando, al momento di concludere, tornerà ad occuparsi di antropologia, avrà almeno la soddisfazione di vedere la mamma fatua da cui era stata assunta avvicinarsi finalmente al suo bambino con tutta la tenerezza necessaria. Qua e là ci si può divertire, specie quando, nella colonna sonora, ci vien fatto nuovamente ascoltare quella canzone di Richard e Robert Sherman, "Cam Caminì" ripresa da da "Mary Poppins", ma alla lunga, sul divertimento, finiscono per prevalere quegli accenti didascalici sul modo di educare i bambini che sminuiscono un po' la levità di una commedia che è soprattutto originale nelle piccole burle cui sottopone gli abitanti, o meglio le abitanti, dei quartieri alti di New York: tentando a sprazzi la satira. La tata è Scarlett Johansson, senza più il fascino biondo di "Black Dahlia" e composta solo in una figurina dimessa e minuta; perfino di piccola statura.