Faithful, io nonna sexy ma solo sul set
Mentre il documentario è «uno dei generi che maggiormente racconta l'Italia» ha sottolineato il regista. Doppia la cerimonia d'apertura di venerdì con Marianne Faithfull ospite d'onore, e con l'inaugurazione affidata al primo lungometraggio in concorso, "The Savages", opera seconda di Tamara Jenkins, che torna con una amara commedia familiare interpretata da Laura Linney e Philip Seymour Hoffman. Mentre ieri la giornata è stata dedicata Wim Wenders, al quale il festival torinese ha dedicato una retrospettiva. Il regista tedesco ha detto di essere fin da giovane appassionato di Fabrizio De Andrè e "Creuza de ma" è uno dei suoi dischi preferiti firmati dal cantautore. Marianne Faithfull, sotto la sua zazzera bionda da brava signora inglese, ha presentato ieri il film di Sam Garbarski, "Irina Palm" (dal 7 dicembre in sala), dove interpreta una nonna coraggiosa che, per racimolare i soldi per curare il nipote morente, lavora in un sexy club. «Un po' come Marlon Brando, con la stampa e con lo star system non vado molto d'accordo - ha detto la battagliera icona rock ex compagna di Mike Jagger, che nel film ricorda la Gelsomina nel film "La Strada" -. Irina è un personaggio inventato, una proiezione della fantasia sessuale maschile». Il bullismo, la violenza e l'abuso di psicofarmaci tra gli studenti e i teen agers americani, è stato invece il tema di "Charlie Bartlett", opera prima di Jon Poll. Mentre è un melodrammatico album di famiglia "The home song stories" del regista sino-australiano Tony Ayres (in concorso). Particolarmente interessante "Manufacturing dissent", documentario contro il documentarista Michael Moore, dei canadesi Debbie Melnyk e Rich Caine. Il docu-film, presto in dvd, prende le mosse dal tour di presentazione "di Fehrenheit 9/11", il film di Moore vincitore del festival di Cannes, rivelando alcune mistificazioni di Moore: «Cronologie non rispettate, sequenze estrapolate artificiosamente dal loro contesto e anche qualche scena completamente inventata. Persino la spasmodica rincorsa del boss della General Motors, Roger Smith, su cui si impregna tutto il film, non corrisponde al vero».