Dalle pagine di Giovanni Verga la denuncia del lavoro minorile
Tra questi un ragazzetto che, avendo i capelli rossi, era soprannominato Rosso Malpelo perché in Sicilia, in quegli anni, chi aveva i capelli rossi, "u' russu malupilu", era sospettato di indole cattiva e, più degli altri, era oggetto d'ogni sorta di angherie. Adesso Pasquale Scimeca, dopo due film sulla mafia, "Placido Rizzotto" e "Gli indesiderabili", si rivolge a quel racconto con l'intenzione manifesta di mettersi in polemica contro il lavoro minorile che, nonostante i costumi mutati, non ha aspetti meno aspri e dolorosi di quello del passato. Il testo di Verga lo segue quasi alla lettera, concedendosi solo due o tre divagazioni per i ritmi sempre desolati e serrati e al suo protagonista, per richiamare con maggiori emozioni l'attenzione sulla sua sorte emblematica, smussa un po' certi angoli duri del carattere, motivati in Verga dalle reazioni sempre negative che gli suscitava attorno il colore dei capelli. La struttura narrativa però con cui sono svolti quei casi, riflette saldamente gli schemi e le intenzioni dell'autore letterario. Dalle difficili condizioni familiari del protagonista, il padre morto in miniera, la madre di nuovo sposata e anche una sorella, la casa vuota con la porta sbarrata, fino all'incontro con Ranocchio, un bambino di cui diventa amico, morto presto perché stroncato dal duro lavoro in miniera. Con il suo conseguente abbandonarsi a una sorte che gli farà presto condividere quella del padre ("né più si seppe nulla di lui... si persero persin le ossa"). E così anche i climi. Evocati con immagini dure e buie, con tensioni laceranti e con una tale decisa ricerca della autenticità da imitare il Visconti della "Terra trema" facendo parlare tutti gli interpreti in un siciliano così stretto da doversi tradurre sempre con i sottotitoli. Arrivando al ritratto di un personaggio, ma anche di una condizione umana e sociale, che stringe il cuore e suscita sdegni sacrosanti dalla prima pagina all'ultima. Con la forza di un'accusa che travalica quegli anni lontani, per risuonare, motivata, anche oggi.