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Ligabue, la mia elegia per i miti italiani

Ligabue

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L'albumdi famiglia lui lo mostra alla fine di ogni concerto, quando canta l'elegiaca "Buonanotte all'Italia" e sul maxischermo scorrono i volti e gli eventi che hanno segnato la nostra storia. Fra mondiali vinti e stragi subìte, gli applausi più scroscianti sono per Falcone e Borsellino, Biagi e Sordi. Quando spunta il faccione di Pavarotti è un'ovazione postuma. Se gliene parli, il «Liga» volge per pudore lo sguardo, mentre gli si inumidiscono gli occhi. «Lo vidi per l'ultima volta due mesi prima che morisse. Era visibilmente provato, girava per casa in carrozzella, ma ancora, con grande determinazione, riceveva gli allievi per le lezioni di canto. Quel giorno capii ancora di più la sua forza comunicativa. Alla fine ci mettemmo a giocare a carte: io, lui e la sua combriccola di tutta una vita. Luciano girava il mondo, ma gli erano rimasti tutti attorno, era circondato dagli affetti di sempre. Mi ha dato enorme fastidio leggere la falsità che Nicoletta non gli permettesse di ricevere gli amici». Non è triste che la Mantovani abbia dovuto far sapere di essere malata anche lei, per mettere a tacere i pettegolezzi? «Più che triste lo trovo ributtante. L'hanno praticamente costretta a rivelare i suoi problemi personali. Vorrei capire cosa gliene frega alla gente delle questioni sul testamento. Non c'è stato rispetto né per l'immenso valore artistico di Pavarotti, né per il dolore di chi lo ha perduto». Ligabue, in scena lei mostra anche l'immagine di Pantani. Un eroe rock, a suo modo. «In uno sport malato come il ciclismo qualcuno volle fare di Marco un agnello sacrificale in nome del business. Era scomodo, e gliela fecero pagare. Era il campione in cui la gente si identificava, e quando scoppiò lo scandalo lui iniziò a morire come essere umano, prima ancora che come atleta. Temeva che chi lo ammirava lo considerasse un traditore». A proposito: come guarire il calcio? «La morte di Gabbo è stata una totale pazzia. Ne risponderà chi ha sparato. Però dovrebbero farsi un esame di coscienza gli operatori dell'informazione, che alzano il chiacchiericcio a livelli parossistici. Io sono per gli sfottò tra le curve, ma contro ogni violenza. Mi preoccupa l'escalation dell'odio contro le forze dell'ordine: non è facile essere un poliziotto di vent'anni in servizio allo stadio. Ti becchi di tutto, senza poter reagire». Ancora tre concerti tra domani, sabato e lunedì al Palalottomatica, poi altri sette a Milano. Il tour per l'uscita della raccolta "Primo Tempo" è a "impatto zero": per compensare l'inquinamento prodotto dallo show verranno piantati migliaia di alberi in Costa Rica. Ma con problemi come l'impoverimento della busta paga o i mutui stellari, non si rischia di vedere la questione ecologista come un lusso? «La sfida è far capire la gravità della situazione. Quello dei salari non è l'unico problema. Io vivo in campagna, sento come reagisce il mio corpo quando è immerso nel verde. L'emergenza del pianeta non può essere risolta dai nostri figli e nipoti: il mio contributo è una goccia nel mare, l'importante è amplificare la voce. Al Gore ci ha insegnato che non possiamo sbattercene i maroni». Il suo nuovo vertiginoso inno rock è "Niente paura". Forse anche una parola d'ordine per gli anni che passano? «La vita è più saggia delle nostre angosce: inutile attraversarla temendo l'incombere di eventi negativi. Dobbiamo nutrire più fiducia: se ti rilassi ti godi di più le fortune che ti vengono offerte. Invece che restare legati alle insidie della mente, dovremmo ascoltare i segnali del corpo: imparare a trattarlo bene, non come fosse una parte estranea alla nostra coscienza. Gli chiediamo di essere felice quando si fa sesso, di sopportare la ciucca quando ci sbronziamo. Dobbiamo invece rispettarlo, anche per preservarci dall'inevitabile decadenza». Che ne direbbe Keith Richards, che quanto a trasgressioni non sa più cosa inventarsi? «Lo amo talmente che l'ho citato in "Radiofreccia" e in questi concerti infilo "Jumpin' Jack Flash" dentro "Bar Mario". Gira la leggenda che abbia sniffato le ceneri di suo padre: i rockettari sballati sono più simpatici, ma io sono diverso e non è per il vezzo di andare controcorrente». Propugna il salutismo per salire anche lei sul palco da vecchietto, come i Rolling Stones o i Led Zeppelin? «Se avrò quella chance fra vent'anni, e se non mi vedrò patetico, mi piacerebbe. Nulla mi appaga come suonare: per queste 14 date abbiamo messo su una produzione alla grande. Avete visto la straordinaria acrobata che si arrampica sulle corde in "Piccola stella senza cielo"? Si chiama Elena Burani, è la figlia del fondatore di una comunità di recupero nel Reggiano, si è esibita ai Giochi di Torino. Mentre suonavo, non potevo smettere di guardarla volteggiare». Ripudia il lato "maledetto" del rock? «Era figo pensarlo negli anni Sessanta. Cosa c'è di più potente di Jim Morrison o Jimi Hendrix che muoiono giovani, all'apice del loro splendore? Ma quel modello di nichilismo e autodistruzione non può essere condiviso: per me il rock è sesso, salute, appetito, energia. Tutto quello che rende migliore la vita, non ciò che te la spegne. E mi resterà per sempre la curiosità di sapere che dischi avrebbero fatto oggi i Doors, o i Nirvana». Tanto per non chiederle del Pd: che dice della mossa di Berlusconi? «È troppo presto. L'Italia non funziona da molto tempo, non conta chi abbia governato. La politica è materia scottante, accontentare tutti i soggetti sociali è un compito infernale. Ci serve una schiera di persone speciali che si diano da fare. Poi sapremo se dirci delusi o soddisfatti». L'imitazione di Marcorè: che si prova ad essere strumento di satira? «Per quanto la si prenda sportivamente non se ne è mai contenti. Esasperano i tuoi difetti e ti mettono alla berlina. Ma tengo botta. Niente paura».

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