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Lidia Lombardi [email protected] San Leucio è ...

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Sulla collina che guarda la reggia di Caserta, San Leucio - dal nome del santo eremita venerato come un genius loci - accorpò la fabbrica dei tessuti alle case degli operai che li creavano. In un progetto urbanistico che tutti parificava e tutti esaltava: un circolo virtuoso nel quale la creazione di un prodotto d'eccellenza era causa ed effetto di soddisfacenti condizioni di vita. San Leucio, o - com'è chiamata - Ferdinandopoli, trecento anni dopo è una perla (col Belvedere restaurato e le macchine per torcere i fili di seta di nuovo perfettamente funzionanti) incastonata in quella Terra di Lavoro dove il lavoro è amaro, i giovani non hanno prospettive, impera la camorra e l'illegalità è la norma. Per raccordare il bello e il brutto, quel passato glorioso e questo presente scoraggiante, il Comune di Caserta ha deciso di usare due forme di comunicazione - la fotografia e la pittura - per parlare del grande problema, il lavoro che non c'è. Che vuol dire esclusione sociale, emarginazione, subalternità. E proprio nel complesso monumentale del Belvedere espone 140 fotografie di Sebastiano Salgado e 140 dipinti di Gino Covili. L'artista brasiliano nelle cinque sezioni di «In cammino» insegue un altro ganglo della sofferenza sociale, quella dei sottomessi di tutto il mondo costretti ad emigrare, come avvenne l'altro secolo agli abitanti della Campania cosiddetta felix. Di Covili, modenese, nato nel 1918, bidello prima d'essere artista, e scomparso due anni fa, si presenta per la prima volta tutto intero il ciclo degli «Esclusi». Che sono gli internati in manicomio e i clandestini, i carcerati, i profughi, i disoccupati. Senza dimenticare che ciascuno di noi non è al riparo dalla minaccia di esclusione a causa della precarizzazione progressiva delle condizioni generali di vita. Fino al 6 gennaio allora, a San Leucio si raccontano attraverso foto e dipinti (ma anche con dibattiti, letture, spettacoli teatrali come, il 16 dicembre, La mappata, Strani poemi con Carlo Croccolo) storie di soprusi. In un gioco di rimandi per contrasto - Ferdinandopoli era il luogo del non-sopruso - e per allusione - il sopruso insito nelle migrazioni di massa e il sopruso quotidiano al quale è sottoposto chi vive nel Casertano.

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