di LUCIO D'ARCANGELO La Crusca non è più in grado di ...
Tuttavia, finché ci fu Nencioni, la Crusca seguitò a svolgere le proprie funzioni, per quanto limitatamente, e ne è testimonianza il periodico «La Crusca per voi», dove si rispondeva ai quesiti dei lettori. Con l'uscita di Nencioni per limiti di età non si parlò più né di difesa, né di tutela della lingua, ed il motivo è semplice. Per la maggior parte dei linguisti nostrani, appartenenti a quella sinistra postgramsciana prima infatuata della «scuola di Barbiana» e poi delle cosiddette minoranze linguistiche, queste parole sono tabù. Basti dire che il Presidente della Società di Linguistica Italiana ha scritto un articolo intitolato: «La lingua si difende da sé». Ma quel che appare più singolare è che lo stesso attuale Presidente della Crusca non crede alla tutela della lingua, tanto è vero che osteggiò in ogni modo, durante il governo Berlusconi, l'istituzione del Consiglio Superiore della Lingua Italiana, benché nell'organismo dovesse entrare un rappresentante della Crusca stessa. I linguisti cosiddetti «democratici» tacciarono di incompetenza e «purismo» i promotori di detto Consiglio, tra cui erano, solo per fare qualche nome, Maurizio Dardano e Paolo Ramat. È lecito quindi domandarsi: che cosa farà la nuova Crusca? Si limiterà a studiare la nostra lingua? Ma chi la studierà? Gli allievi di coloro che hanno introdotto nelle scuole l'insegnamento delle cosiddette «lingue regionali»? Per poi lamentarsi che i giovani non conoscono l'italiano? Intanto, in assenza di provvidenze governative, si invoca un finanziamento della Regione Toscana. Si farà anche dell'italiano una lingua regionale? La verità che, abdicando alla propria funzione secolare, la Crusca è destinata a diventare, prima o poi, un'istituzione museale, e questo proprio in un momento in cui tutti o quasi i Paesi europei si sono attrezzati per difendere le loro lingue nazionali che rischiano di venire schiacciate nella tenaglia tra globalismo e regionalizzazione. Il punto è che in una società come quella in cui viviamo la tutela della lingua non può passare solo attraverso Crusca, ma deve essere attuata con il concorso di molti altri soggetti: mezzi di informazione, strutture economiche, governo. Ne era ben consapevole lo stesso Nencioni, che lamentava ancora nel 1994 come l'Italia non disponesse «né di uffici destinati alla lingua nazionale, né di un Consiglio superiore della lingua, come in Francia»; e denunciava l'insensibilità dei governi, che avevano lasciato morire numerosi disegni di legge intesi a rendere lo Stato corresponsabile della lingua nazionale, a suscitare - in altre parole - una coscienza politica della lingua e una politica linguistica. Il ddl per l'istituzione del Consiglio Superiore della Lingua Italiana presentato nel 2001 aveva tra i suoi compiti anche quello di rilanciare la Crusca, immettendone l'attività nel più vasto quadro di una politica linguistica nazionale, quale quella auspicata da Nencioni. Si trattava di un'iniziativa doverosa, che riparava ad una lunga serie di omissioni. Ma, come al solito, ciò che è normale negli altri Paesi diventa anormale nel nostro e la sinistra intellettuale condusse una campagna arrogante e provinciale contro il disegno di legge in questione.