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Celie Dion: «Ho riscoperto la mia voce e appartiene a una ribelle»

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conlo schermo più grande del mondo, con attorno sessanta ballerini e chitarre che volano grazie a un sistema di fili invisibili: accade al Caesar's Palace di Las Vegas, e se non siete Celine Dion è meglio posare il microfono e tentare la sorte alla slot machine. «Io sono immune dal gioco d'azzardo, mio marito invece no: producendo i miei dischi si è preso i suoi rischi nella vita», scherza la popstar canadese. Però anche lei, dopo il 15 dicembre, mollerà questo spettacolo che l'ha fatta sentire talvolta un po' «incanalata su un percorso prestabilito, come i cavalli con il paraocchi», e che definisce «inesportabile per la complessità delle scene e dell'impianto, non è come il Red Piano di Elton John», l'altro celebre "resident artist" nella capitale delle tentazioni, lì nel deserto del Nevada. La Dion non si lamenta certo dei tre milioni di spettatori che, sera dopo sera, l'hanno vista riproporre un catalogo sontuosamente melodico (pezzo forte: "My Heart will go on", l'immarcescibile tema del "Titanic") né dei 180 milioni di dischi venduti nell'arco della carriera. Ma aveva bisogno di metterci un punto. Così, a luglio, ha sfruttato due settimane libere dalla lucrosa routine del mega-show, ed è tornata in studio di registrazione. Risultato? I 16 brani di "Taking Chances", a tre anni di distanza dal precedente "Miracle": «Me ne avevano proposti a centinaia, ora volevo fare qualcosa di diverso dalle ballate del passato, entrare in una dimensione più rock: quella che appartiene alle mie radici», spiega. Quella assorbita quando «i miei tredici fratelli suonavano nelle cantine. Io crescevo ascoltando Janis Joplin, Beatles, Doobie Brothers, Supertramp, Creedence Clearwater Revival». Così, questo nuovo album «non mostra una nuova Celine: è l'opera che mi rappresenta più da vicino, anche se sono fiera del successo avuto finora». Un disco dove lei ha «scoperto una voce più corposa, che non nasce dalla gola, ma dalla pancia, dallo stesso "paese" interiore dal quale è nato mio figlio, che ha sei anni ed è un uccello notturno come sua madre». Madame Dion giura di non aver guardato alla celebrità degli autori dei brani scelti per "Taking Chances" («Non volevo farmi influenzare dai loro nomi, ho messo in moto i sentimenti e il piacere di cantare per non essere più alla mercé del repertorio»), comunque firmato da personaggi come Linda Perry, Aldo Nova o l'ex Eurythmics Dave Stewart. E a un certo punto, ascoltando il torrido, scarnificato rock-blues di "That's just the woman in me", riesce difficile credere che quella voce di carta vetrata appartenga alla sempre impeccabile Celine. «Quel pezzo mi inseguiva da 15 anni, ma non riuscivo mai a inserirlo in un disco. Ma una volta registrato ho pianto, tremato, sentivo la mia stessa voce e non ci credevo. Mi scoprivo felice e solo dopo ho capito perché: era riafforato lo spirito della ragazzina che 25 anni fa ascoltava Janis». Ma tale è stato l'impatto emotivo che l'artista dubita di poter eseguire la canzone ogni notte nel nuovo tour (allestimento agile, mica come a Las Vegas), che debutterà in Sudafrica il 14 febbraio e che passerà da Milano, San Siro, il 3 luglio 2008. «Urlando in quel modo forse spaventerei i miei fans, ma prometto di essere più rock, anche se non suonerò la chitarra con i denti». E poi, tra un viaggio e l'altro (domenica sarà in tv da Baudo, e partiranno le trattative per un'apparizione a Sanremo), non dimenticherà certo il suo talento cristallino di vocalist "aperta". Un disco di cover famose? «Ad esempio con riproposizioni da Annie Lennox, Queen, Elton? Chissà, magari domani, magari tra dieci anni». Un duetto con Michael Bublé? Celine ne mima le espressioni laconiche, non pare troppo convinta: «Ma ha carisma, qualità, e indossa bene la camicia bianca». Ha cantato con Bocelli a Londra per uno special tv, alla fine di ottobre: «Stare accanto ad Andrea è sempre un privilegio». Come lo fu collaborare con Pavarotti. Ricordandolo, quasi si commuove: «L'altra sera guardavo il Colosseo e pensavo a Luciano, a quando lo frequentavo nella sua casa di New York con Nicoletta, e poi andavamo insieme al ristorante. Come tutti i grandi artisti, resterà per sempre fra noi».

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