Antonio Angeli [email protected] Enzo Biagi si è ...
La sua vocazione al giornalismo si è espressa sempre rinnovata, sempre con la medesima ironia, in tutti i media. Figlio di una famiglia di certo non ricca, inizia la carriera giornalistica appena diciottenne al «Resto del Carlino», giornale della sua Bologna, ma non per questo interruppe gli studi. A 21 anni diventa professionista, viene poi chiamato alle armi e, l'8 settembre 1943, si ribella alla Repubblica di Salò e si unisce ai gruppi partigiani. Il 21 aprile del '45 entra a Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni della radio libera la fine della guerra. Aveva un'umorismo pacato e indomabile. In certi casi anche decisamente noir: nell'ormai lontano 1990, dopo una complessa operazione al cuore, disse: «Ormai sto giocando i tempi supplementari». Se li è giocati tutti fino alla fine, cercando di non perdere neppure una palla. «Mi incanta la gente semplice - rivelò - quella che festeggia gli anniversari, crede nei proverbi, nel risparmio, nelle vacanze e sa che nessuno è perfetto e che, prima o poi, si deve morire». Dopo «Il Carlino» passò alla direzione di «Epoca», poi al tg degli anni '60, e ancora il lavoro da inviato e quello da scrittore. Fu di sinistra fino in fondo, ma con poco amore per gli esotismi: «Negli anni in cui tanti perdevano la testa per Che Guevara e Ho Chi Min a me continuavano a bastare i fratelli Rosselli», affermò una volta. Finì nel mirino di più di un presidente del consiglio: si ricorda un suo attacca al governo Tambroni, nel '60 su «Epoca», per disordini e scontri di piazza a Genova e Reggio Emilia. Fu chiamato dall'editore, il grande Arnoldo Mondadori, che, abbracciandolo e piangendo, lo licenziò. Bettino Craxi, invece, di lui aveva detto: «Biagi? Una volta mi piaceva... ora non più, fa del moralismo un tanto al chilo». Con lui Berlusconi fu diretto: nel 2002 lo accusò di faziosità, per l'intervista durante la sua trasmissione «Il fatto», a Roberto Benigni e lo escluse per anni dalla Rai, sino al suo ritorno nel 2007. Ma anche il giornalista non aveva mai nascosto la sua antipatia per il Cavaliere: «I nuovi per due terzi sono vecchi governanti», aveva detto della seconda repubblica, aggiungendo: «Diamo tempo al tempo: ma un conto è far funzionare Mike Bongiorno, un conto gli italiani». Biagi però aveva saputo litigare anche con i colleghi. Nell'88 Se ne andò da «Repubblica» sbattendo la porta e tornando all'amato «Corriere della Sera». «Non pubblicano i miei articoli - disse - o è una svista e allora vuol dire che non conti niente; o è voluto e allora tanto vale cambiare aria».