La recensione di Gian Luigi Rondi
Undramma insolito, una madre che odia la figlia. Con tali conseguenze per la sua sanità mentale da tentare ben tre volte il suicidio e con un duro internamento alla fine, in una clinica psichiatrica. Si comincia proprio lì, tra le mura asettiche e le luci gelide della clinica. Da una parte una psichiatra, dall’altra, seduta di fronte a lei, la paziente, che si chiama Danielle come Danielle Girard autrice del romanzo "Madre e Ossa", da cui questa vicenda è tratta. Parla solo la psichiatra perché l’altra, pur richiesta di illustrare sé stessa e i propri pensieri, non risponde, muta, ostinata, chiusa come un riccio. A poco a poco, però, invitata a fare almeno questo, accetta di scrivere: del suo passato, delle sue ragioni. E con dei brevi flash-back (intercalati al presente in bianco e nero) si finisce per risalire almeno in parte a quell’odio di Danielle per la propria figlia, iniziato addirittura subito dopo il parto e presto ricambiato dalla ragazza che, crescendo, se lo è sentito crescere addosso come un macigno. Fino a quando, esplose sempre più vistose le manifestazioni del disturbo psichico, sarà lei, con un costoso ricovero nella clinica a provvedere a Danielle. Così disperata, tuttavia, così ferita da arrivare questa volta lei, anziché l’altra, fino al suicidio. Una lacerazione violenta che a tal segno però guarirà Danielle da indurla a cercare la bambina della figlia rimasta orfana: dedicandole, totale, quell’amore materno che prima non era mai riuscita a sentire. Il romanzo di Danielle Girard, che si può leggere in Italia per i tipi di Baldini & Castoldi, è stata riscritto e poi portato sullo schermo da un regista, Alessandro Capone, noto tanto in teatro quanto al cinema, con una intensa attività, di recente, anche in TV. Senza arrivare allo psicodramma, ha però posto al centro della sua ricostruzione quello straziato personaggio dosando per un verso, dall’esterno, i suoi contatti con gli altri, specie con la psichiatra, in modo allora quasi secco, senza mai compiacimenti, e facendone, per un altro verso, emergere intimamente la psicologia ritorta e turbata, dai ricordi, da una voce narrante e, sia pure sempre avare e riservate, dalle confidenze quasi confessioni alla psichiatra che discretamente le sollecita. In un clima in cui le tensioni e gli stessi dolori sono intenzionalmente evocati in modo spesso solo implicito. All’insegna di una meditata ricerca di stile. Nelle vesti di Danielle c’è Isabelle Huppert, in cifre che sfiorano l’enigmatico. La psichiatra è Greta Scacchi. Volutamente dimessa.