Così Kubrick voleva il suo Napoleon
Tra appunti, corrispondenza, foto, provini, regala la storia del fallimento di un progetto cullato da sempre, se è vero che una statuetta in porcellana di Bonaparte troneggia come un indizio nella scena madre con Kirk Douglas in Orizzonti di gloria, girato da Kubrick nel 1957. Il cineasta americano cominciò a lavorarci nel 1969, quando la Francia festeggiava il bicentenario della nascita del grande Corso. La storia di Bonaparte compendiava la dialettica illuminista, la lotta di intelletto e ragione, che poi è il nucleo della poetica di Kubrick. Così, maniacalmente, il regista creò su Bonaparte il più vasto archivio privato: 18 mila immagini, 500 volumi, perfino giochi di strategia in cartone. Immagina scene di guerra con 30 mila fanti e 2.500 cavalieri e accetta di prenderli dall'esercito rumeno, per risparmiare, piegandosi a far doppiare la versione originale. Ma il film costa troppo e Kubrick ritorna sulla sceneggiatura nel '71, prevedendo location vere, invece di costose ricostruzioni, in Italia e Romania. Fa dietrofront anche sul cast: da David Hemmings e Audrey Hepburn nei ruoli di Napoleon e Joséphine (con la variante di Jack Nicholson per il primo) accetta un set senza star. E prevede di utilizzare 40 mila candele per girare senza luci artificiali. Ma il pur ridimensionato progetto resterà nel cassetto. Questo raccontano i documenti portati al Palaexpò dalla villa di Kubrick alle porte di Londra. E molto altro del lavoro di quello che Woody Allen e Martin Scorsese considerano il maggior regista del '900. «L'unica cosa che Stanley avrebbe voluto fare era comprare una casa più grande». Così Christiane Kubrick, la moglie inglese, all'apertura della mostra romana. Perché quella residenza-casa di produzione dove sono nati i film-cult di Kubrick era ormai zeppa di materiali provenienti dai set e dai quali non si sapeva distaccare. Armadi, cassetti, scantinati, stalle traboccavano di appunti, foto, obiettivi, riflettori, broccati, maschere, corrispondenza, libri, sceneggiature. Fino al grande tavolo di legno di Shining, che Kubrick - megalomane, perfezionista, ossessivo - usava in cucina. Al Palaexpò si seguono le sue pellicole a partire dagli anni '50. Non sono tante, dopo 2001 Odissea nello spazio (1968) Kubrick ne fa in media una ogni cinque anni. Varcare la soglia di ogni sala è come entrare in ciascun film. Ecco il neonato di 2001 galleggiare in una teca, ecco il modellino del computer Hal; le asce brandite da Nicholson in Shining, la divisa bianca dei Drughi di Arancia Meccanica; ecco la lente Zeiss, prodotta dalla Nasa, che permise a Kubrick di girare le scene a lume di candela di Barry Lyndon. Come avrebbe voluto per Napoleon.