Francesco, glorioso perdente
E ancora una volta, come per i crociati, come per sant'Antonio e per santa Rita da Cascia, la leggendaria famiglia Bernabei - Ettore, Luca, Matilde - mi hanno voluto come consulente storico. Così, tutto sommato, non mi dispiace questo Francesco che sogna di diventar cavaliere, va alla guerra e la perde; che avrebbe voluto vivere povero e nascosto e invece incappa in un insperato successo e si fa migliaia di seguaci; che va alla crociata, parla col sultano, inventa il Presepio e gioca con un bel lupo appenninico; che diventa tanto simile a Gesù da portarne le piaghe. E Chiara, poi: la fanciulla nobile e bella, che la gente s'immagina sempre innamorata di lui al punto da sublimare il suo amore in quello per Dio. Le cose stavano altrimenti: Chiara era una giovane donna energica, che sapeva bene quello che voleva: tenne testa alla sua prepotente famiglia ma anche a Francesco stesso, come più tardi avrebbe tenuto testa al papa. Costruì il suo Ordine, prendendo Francesco a modello, ma edificò molto di più di un semplice "Ordine francescano femminile". Eppure, nella Chiara e nel Francesco che vedrete sullo schermo - tutti e due bravi e belli (forse, perfino un po' troppo belli) - m'illudo sia passato qualcosa di quel che furono davvero. Solo davanti alla "predica agli uccelli" ci siamo arrestati, intimoriti: non si combatte con Giotto, e nemmeno col Pasolini e col Totò di Uccellacci e uccellini. Vedrete, invece, che l'incontro col sultano farà discutere: non piacerà né ai buonisti né ai fondamentalisti di qualunque segno. Ma non abbiamo voluto che piacesse: abbiamo voluto che facesse pensare, perché sappiamo bene che in quell'episodio c'è, in quest'alba del XXI secolo, fin troppa attualità. Attualità. Già, questo è il punto. Ma è attuale, Francesco? Perché piace ancora, perché fa tanto discutere? Francesco è inattuale. E non solo perché fu un uomo del primo Duecento, cioè di quasi un millennio fa. Era già inattuale ai suoi tempi. Tempi dominati da una Chiesa grande e potente, da guerrieri violenti e da accorti e avidi mercanti. Francesco avrebbe potuto appartenere ad almeno una di queste categorie, e aveva i numeri e le possibilità per accedere a tutte e tre, magari in tempi diversi. Non volle farlo. Questo ragazzaccio viziato, donnaiolo, che sognava la gloria cavalleresca e aveva paura solo dei lebbrosi, alla fine andò incontro alla più difficile delle avventure. Volle farsi povero e nudo come il Cristo sulla croce. Volle conoscere la fame, il freddo, le umiliazioni che sono l'amaro pane quotidiano degli ultimi. Si ripete troppo spesso che sposò la Povertà, come lo presenta Dante Alighieri. Non basta. Noi diciamo "povero", e pensiamo all'indigenza, alla mancanza di beni materiali. Ma Francesco rifiutò ogni sorta di ricchezza perché, radicalmente, disse "no" al potere: a qualunque forma di potere. Anche a quello spirituale e intellettuale che deriva dalla cultura. Avrebbe potuto essere eretico: anche gli eretici disprezzavano i beni e la potenza del mondo. Ma essi disobbedivano al papa e sognavano una Chiesa nuova e diversa. Francesco, no. Mai venne meno all'obbedienza dovuta al pontefice. Disapprovava le crociate? Le crociate, nemmeno le conosceva: quelle, le ha inventate la storiografia moderna. Al suo tempo, la parola "crociata" nemmeno si usava. È possibile, certo, che disapprovasse quella bislacca spedizione arenatasi sul delta del Nilo verso il 1219: e che il sultano raffinato, intelligente ed equilibrato gli stesse più simpatico di quel pretaccio stolto e violento del cardinal Pelayo. Ma obbedì anche allora: per lui, la crociata fu essenzialmente un atto d'amore. Verso i musulmani, nei cui confronti voleva solo testimoniare la fede in Gesù, senza intenzione di convertirli. E verso i crociati, che conoscevano così poco quella croce che portavano cucita sulle vesti. Francesco è stato uno splendido vinto, un glorioso perdente. Era ancora in vita, ormai ritiratosi dalla guida dell'Ordine, ch'esso gli fu scippato e divenne quel ch'egli in ampia misura non avrebbe mai voluto: ricco, potente, pieno di frati colti. Non a caso, per troppi secoli fu venerato più come Fondatore dell'Ordine che per quello ch'era stato davvero, lui, a livello intimo e personale. Lo si riscoprì soltanto negli Anni Ottanta dell'Ottocento, e grazie a uno studioso protestante e allievo di Ernest Renan. Oggi, tutti sono pazzi per Francesco. Eppure, gli ideali e gli idoli del nostro Occidente moderno sono esattamente quel ch'egli aveva respinto: il danaro, il potere terreno, la vanagloria dell'apparire. Non c'è nulla di più profondamente e radicalmente antifrancescano della società dell'individualismo sfrenato, del benessere, dei consumi, del piacere, dei profitti, dello "spettacolo". Lui povero, lui sottomesso a chiunque, lui che si spogliò d'ogni avere, d'ogni potere e d'ogni sapere per apparire, come dice Dante, "dispetto a meraviglia". Forse un derviscio musulmano o un bonzo buddhista sarebbero in grado di comprenderlo sul serio, nel profondo: ben poco gli occidentali. Abbiamo mai provato a pensarlo nei suoi aspetti più sgradevoli? Eppure c'erano. Certamente puzzava, aveva le pulci e i pidocchi, qualche volta sapeva perfino esser duro: come quando faceva punire corporalmente i frati indisciplinati dal "pugilatore di Firenze", un energumeno suo seguace. E allora, perché dovrebbe piacerci? Ignoranza? Contraddizione? Paradosso? E che senso ha che piacesse a Nietzsche, a D'Annunzio, a Mussolini, a Gandhi, a Che Guevara? E magari, avete visto mai che piace anche a Bin Laden? È documentato che piacesse a Khomeini. Ebbene, sì: arrendiamoci all'evidenza. Francesco è incomprensibile e insondabile. Ma è un segno di Dio. È quanto di più simile a Gesù Cristo sia mai comparso sulla terra.