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La poetica spirituale nell'evangelico «Centochiodi» di Olmi

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ERMANNO Olmi, Il Poeta Solitario del cinema italiano, ci ha lasciato sempre intuire, in tutti i suoi film, il suo personalissimo anelito alla spiritualità. Sia, esplicitamente, rifacendosi ai Vangeli come in "Cammina, cammina..." o parafrasandoli come nella "Circostanza", sia, implicitamente, anche solo citando le guerre, l'odio, il perdono, la pace: come nel "Mestiere delle armi" e, di recente, in "Cantando dietro i paraventi". Oggi, arrivato al culmine di un itinerario narrativo che intende qui concludere per tornare al documentarismo delle sue origini, con un rigore ascetico e, nello stesso tempo, con una semplicità di accenti che ne fanno, pur in piena autonomia, il vero continuatore di Bresson, torna, ma con maturati e più sofferti propositi, alle parafrasi della "Circostanza". Così immagina che un giovane docente universitario di Filosofia delle religioni non solo abbandoni l'insegnamento ma trafigga simbolicamente con cento chiodi tutti quei libri della biblioteca che, nei secoli, non erano riusciti a dare sollievo alle miserie dell'uomo, al contrario, dato che oggi, in nome di quelli, ci sono i kamikaze e ieri ci sono stati i nazisti autori di mille atrocità con la scritta "Dio con noi" sui loro cinturoni. Così si spoglia di tutto, come San Francesco, e si ritira sulle rive di un fiume (è il Po) in un rudere che i contadini dei dintorni lo aiutano a riparare conquistati dalle sue parole quando enuncia loro certi episodi dei Vangeli o certe parabole che vi narrava Gesù, vedendolo quasi come un novello Gesù (lo chiamano, infatti, proprio così). Lui però non tarda ed essere raggiunto dalla polizia per la distruzione della biblioteca ed è condannato anche se, a un certo momento, ottiene gli arresti domiciliari. I contadini, che hanno sofferto della sua assenza si prestano allora a festeggiarne il ritorno, ma la strada illuminata e infiorata su cui lo attendono, resta vuota. La conclusione, infatti, per precisare ulteriormente la parafrasi, è ancora una volta quella dei Vangeli là dove, in Giovanni XIII-33, Gesù dice agli Apostoli: "Dove io vado, voi non potete venire". Poesia pura. Con una natura e della gente attorno, dal vero, che sembra ricordarci "L'albero degli zoccoli", con quel personaggio al centro che ispira solo quiete e serenità, nonostante il gesto che inizialmente gli abbiamo visto compiere, con ritmi distesi in cui però la cronaca sa farsi canto, mentre le immagini sempre limpidamente realistiche di Fabio Olmi vestono di magie misteriose quel quotidiano che sa diventare, ad ogni svolta, magia. Con la grandezza abbacinata dell'arte. Il protagonista, capelli e barba alla nazzarena, è Raz Degan, tanto interiore quanto dimessi e volutamente immediati sono i non professionisti che l'attorniano.

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