Visto dal critico

VITA e morte di un criminale, qui nascosto sotto un nome fittizio, ma conservandogli quel soprannome di Lupo con cui lo indicava a Roma la cronaca nera all'inizio di questo secolo. Il Lupo, dunque. Veniva dalla provincia, dove aveva una sorella tranquilla ma un padre demente che aveva finito per suicidarsi. Con pochi amici e nessuna banda attorno, preferendo, i suoi furti soprattutto di auto e di moto, compierli quasi sempre da solo, con l'idea, però, di smettere tutto al più presto per scappare in Marocco dove lo aspettava una donna che stava per dargli un bambino. Ecco però che un brutto giorno, sempre inseguito dai carabinieri, ne uccide uno a sangue freddo dopo una semplice richiesta di documenti. Ora è anche un assassino, con l'aggravante che l'ucciso è figlio di un ufficiale subito pronto a metter tutto in atto per catturarlo, spinto da un dovere sostenuto ovviamente anche da un dolore personale. E tutto andrà come doveva andare. Stefano Calvagna, autore del testo e responsabile della regia, soprattutto convince quando conduce avanti la vicenda con accenti secchi e addirittura riarsi, mettendovi al centro quel personaggio aggressivo e sempre stravolto che sembra placarsi solo quando parla al telefono con la sua donna lontana e che, in tutto il resto, rifiuta l'ordine e le leggi. Rappresentandolo poi al centro di un'azione che procede a scatti, con i ritmi affannosi del thriller, proposti da immagini realisticamente sempre segnate e convulse. Convince meno quando, forse guidato da una singolare indulgenza per il suo personaggio, lo lascia immergersi sia in ricordi lontani, nell'infanzia, sia in altri, più recenti, proprio con la donna che lo attende in Marocco, cui concede un supplemento di finale quasi idilliaco, su una spiaggia, dopo la morte del Lupo, con il suo bambino nato da poco, in cifre, dopo tanto buio, ostentatamente solari. Le stesse cifre, di gusto contraddittorio, che poco prima, al protagonista, hanno fatto immaginare la sua donna che lo incita di nuovo a sparare. L'interpretazione, comunque, può in parte riscattare questi scompensi di stile. Quella, per citarla subito, di Massimo Bonetti che riesce a dare alla figura del Lupo anche dei contorni umani, con sentimenti e atteggiamenti spesso volutamente in contrasto con i suoi duri modi da bandito. Senza però dimenticare quella di Enrico Montesano, insolitamente rigido e perfino severo nel personaggio dell'ufficiale che conduce le operazioni contro il protagonista. Con i segni forti di una mimica lacerata.