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Risate sulle orme di Ciccio e Franco

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TORNANO sul grande schermo Ficarra e Picone dopo «Nati stanchi» che aveva diretto per loro Dominick Tambasco. Questa volta li dirige Giambattista Avellino che aveva scritto l'altro film, ma i due non l'hanno lasciato solo dietro alla macchina da presa e, oltre a recitare, gli si sono messi al fianco anche come registri: sempre con le più scoperte intenzioni farsesche, secondo quei modi già resi popolari da altri due comici siciliani di ieri, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Lo spunto è uno scambio nelle culle fra un bambino che portava il n. 7 e quello che portava il n. 8 (da cui il titolo). Li ritroviamo trent'anni dopo. Tommaso, il personaggio che interpreta Ficarra, è diventato un buffissimo ladruncolo con il vezzo di rubare i cartelloni stradali. Daniele, cui dà un volto più composto e più mite Picone, è uno studente perennemente fuori corso, con un severissimo padre, ufficiale dei carabinieri, che sogna invano di vederlo arrivare alla laurea. Si incontrano - e si scontrano - in seguito a un piccolo incidente perfino più buffo di loro e dopo un po' vengono a capo del mistero che aveva presieduto alle loro nascite. Con la necessità, subito, di doversi reciprocamente scambiare le famiglie ma anche con la complicazione di veder spuntare un... terzo padre, adesso addirittura frate in un convento, e con altre, colorate vicissitudini prima di arrivare al lieto fine. Naturalmente immancabile. Si può ridere. Il duetto fra il n. 7 e il n. 8 ormai adulti è innegabilmente divertente anche perché, come al solito, parte dalle smaccate differenze fra i due: Ficarra stralunato, spettinato, truffaldino, ma con un rigido senso della famiglia tutto siciliano (ha una bella sorella che custodisce severamente), Picone, liscio e quieto, nonostante le bugie in casa sui suoi successi universitari, e dai modi più che borghesi, controllati e potenziati da quel padre inflessibile e rigido. L'aneddotica cui sono affidati, specie dopo la scoperta dello scambio in culla, non è sempre di prima mano, accetta soluzioni un po' facili e spunti narrativamente poco risolti, ma a far sorridere, e a divertire, è il clima che la porta avanti e la sostiene. Ora con il gusto della burla, ora privilegiando la caricatura, non puntando molto sulla sicilianità - quella Palermo in cui l'azione si ambienta è di una calma molto surreale - ma favorendo, tra i suoi risvolti, un va e vieni di macchiette dosato spesso con i tempi comici più giusti ed opportuni. Anche se, a spadroneggiare nel film e a ottenergli il consenso, è soprattutto la pittoresca presenza dei due, così distanti ma, nelle loro disuguaglianze, sempre tanto affiatati. In mezzo, come sorella di Ficarra, una ballerina bionda dell'Opéra di Parigi, Eleonora Abbagnato. Da segnalare, però, anche, un fugace, amabilissimo duetto fra Arnoldo Foà e Remo Girone. In un convento di frati.

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