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Generazione Casting

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Eliminati e trionfatori, tutti comunque esposti a un destino effimero e spesso crudele. Tritati da un'ambizione sottile, avviliti dalla routine quotidiana. Sono i ragazzi della Generazione Casting: fanno la fila a migliaia pur di conquistarsi un provino, pressati dal desiderio di finire dentro la scatola della tv, inquilini di una casa o di un'accademia artistica, di un quiz o di un programma satirico. Li vedi e quasi ne avverti l'impalpabile disperazione di giovani in cerca di una qualunque causa, di un gancio per non finire risucchiati nel vuoto pneumatico del Terzo Millennio. Confondono la realtà con il reality, si disperano per una nomination o per un giudizio negativo, pregano affinché gli sms li salvino e li mantengano in quota nell'etere. Nel mentre, si cannibalizzano tra loro. Per paradosso televisivo, i nullafacenti del "Grande Fratello" hanno conosciuto, in proporzione, più successo dei vincitori di "Amici". Pietro Taricone e Luca Argentero sono diventati discreti attori, Eleonora Daniele conduce "Unomattina", Ascanio Pacelli è coinvolto in varietà importanti. Pochi invece ricordano i ballerini, i cantanti, i prosatori emersi dalla "scuola" defilippiana: qualcuno è rientrato nel programma come danzatore di fila, altri hanno inciso cd non memorabili. Bravi, bravissimi, ma precariamente appesi al filo della Fama, lì sul bordo del Grande Imbuto. Eppure hanno dato il fritto, ci hanno creduto, sono rimasti ancorati a un sogno privato: quello del talento che alla fine paga sempre. Maria però lo dice: attenti, una volta spenta la telecamera dovrete cavarvela da soli. E nel buio dello studio, una volta caduti tutti i coriandoli dal soffitto, smorzati i gridolini dei fans, esaurite le polemiche sul piede piatto di Agata o sulla verve di Karima, si ritrovano di fronte alla solita domanda: ora che ne sarà di noi? E se lo chiedono tutti: i pochi in televisione e i milioni a casa. Perché questo è un tempo che non perdona, che non offre plausibili strategie di sopravvivenza, che non fonda un futuro lontano, ma solo rapide illusioni amplificate da un mezzo applauso o da un primo piano con contorno di pubblico. La Generazione Casting è fragilissima, più di quanto non lo sia stata quella dei loro padri o dei fratelli maggiori. Quelli trovavano motivo d'essere in guerre da combattere, in ideologie (pur sbagliate) che alimentavano un senso di appartenenza e innescavano la sana ribellione contro il conformismo. Questa è invece una nidiata umana esposta al faro abbacinante della tentazione mediatica, lusingata da modelli sottoculturali che durano un quarto di stagione, ossessionata da gadget inventati per comunicare ma utilizzati per elaborare solitudine: gli Ipod, i videofonini, i cybermondi con i "doppi" virtuali. Leggono i romanzi di Moccia, si appendono il poster di Scamarcio, ascoltano gli Zero Assoluto, che già nel nome dicono tutto. Impossibile tutelarli: per questi (post)adolescenti c'è solo da sperare che non finiscano in mano ai falsi incantatori da cronaca nera, o dentro i cassonetti del trash domenicale. Che non aspirino necessariamente a diventare simil-veline o pseudo-tronisti. O che, quanto meno, si riconoscano in modelli affidabili di artista, come quelli usciti curiosamente proprio da Sanremo. Nel dubbio, chi può ricordi loro che la vita non è un tv-game, ma un provino no-stop. E senza microfoni attorno. [email protected]

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