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Il dramma dei non vedenti nel film di Bortone

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BAMBINI ciechi. Qui da noi, fino alla metà dei Settanta, se erano tali, venivano affidati a istituzioni che non facevano nulla per addestrarli a una vita normale. Abolite per legge, sono state sostituite adesso da organismi che, indicandoli meno crudelmente come "non vedenti", ne coltivano le doti, avviandoli anche a vere professioni. Quel periodo di transizione è seguito nel film di oggi da Cristiano Bortone - già piuttosto noto nel settore dell'audiovisivo - attraverso la vera vicenda di un bambino, Mirco Mencacci, diventato adesso, da adulto, rumorista di cinema (per "La meglio gioventù", ad esempio, e per "Le fate ignoranti"). Lo incontriamo in Toscana, nel '71, a dieci anni. È sano, dotato, vivace ma ecco che, per un incidente, perde la vista. Desolati, i genitori sono costretti a toglierlo dalla scuola e ad accettare che sia rinchiuso in un "istituto per ciechi" dove, nonostante la comprensione di un bravo insegnante, si vede drasticamente tarpate le ali molto più di quanto non faccia già la sua menomazione. Trova però per caso un registratore e comincia a servirsene per captare le voci della natura, ma è contro le regole di quel luogo non dissimile da una prigione così, anche se l'insegnante lo difende, un direttore rigido e incomprensivo lo fa espellere. Seguirà una rivolta, anche con l'intervento di sostenitori esterni, e Mirco non solo verrà riammesso ma, grazie alle sue doti, avrà modo di esibirsi tra quelle mura in uno spettacolo di "favole sonore" che diventeranno poi la base della sua felice professione di oggi. Tutto molto semplice e secondo schemi narrativi spesso frequentati: il contrasto fra l'insegnante comprensivo e quello incapace di adeguarsi, le avversità del protagonista fatte alla fine superate da un successo che fa riconoscere i suoi meriti. Bortone, però, ripercorrendoli, li ha visti e fatti vedere soprattutto con l'occhio dei bambini che vi sono coinvolti, privilegiando, a fianco del dolore prima e della letizia poi, un candore che permea dal principio alla fine, con accenti plausibili, tutto il racconto: all'inizio in una rustica e quasi aspra cornice toscana, in seguito tra le vecchie mura, a Genova, del monumentale ex Albergo dei Poveri, oggi, per fortuna sostituito, da istituzioni più giuste e più umane. Gli interpreti, per la maggior parte, sono bambini già visti, qualcuno, in altri film. Il protagonista è il toscano Luigi Capriotti, l'insegnante è Paolo Sassanelli, noto in teatro ma anche al cinema.

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