Il premier: compensi indecenti. Lo showman: sei populista
Restava solo da incorniciare per l'ennesima volta i lusinghieri ascolti (quasi undici milioni di telespettatori per il fluviale puntatone del venerdì) quando improvvisamente si è materializzato Lui. Nel Sanremo dei finti Califano e Ligabue, e degli spettri di Bonolis e Fiorello, è spuntato in extremis il vero Prodi. Come cercasse vendetta dopo aver visto il suo sosia preso per le palle, si è detto «assolutamente contrario a questi ingaggi folli, ma se ti metti a fare la tv commerciale e ci sono concorrenti che danno un milione di euro, purtroppo glieli deve dare anche la Rai. È una cosa indecente, ma inevitabile». A quel punto, la sala stampa infarcita di ospitoni e giurati vip, si raggelava davvero, come il Politburo degli anni Cinquanta evocato per scherzo, poco prima, da Massimo Ghini. Dalle narici di Pippo usciva un fumo spesso come quello di una locomotiva del Far West: «Il premier parla alla gente e deve accontentarla con sortite populiste. Il problema è se vogliono smantellare la Rai o no, se con budget ridotti vogliono farla diventare Telescuola che costa due lire ma non la vede più nessuno. Non vorrei che alla fine della favola Prodi fosse il più grande alleato di Berlusconi». Una larga intesa sotterranea come un fiume carsico? Difficile, ma la battuta è ghiotta. Baudone a quel punto vibra tutto e rincara la dose: «E le liquidazioni milionarie di Cimoli? Ha fatto pure fallire un'azienda». L'effetto "Volare" romba come un jet sulla testa del Paperone Alitalia, quasi cinquant'anni dopo Modugno. Così, alla fine di quello che definisce il «festival della mia vita» (per l'impegno profuso), Pippo diventa un esternatore totale, un Picconatore come neanche il Cossiga d'antan. È ormai immarcabile: riesce anche a svincolarsi dalle trattenute di chi lo vorrebbe schierato di qua o di là. «Basta etichettare tutto e tutti. Io come Follini? Sono un antico demitiano, un centrista per natura, non voglio essere tirato per la giacca». Poi sfonda sulla fascia: «Parlo in maniera democratica e civile, se questo è apprezzato solo dalla sinistra... La verità è che mi esprimo con grande onestà intellettuale, non ho mai preferito nessuno solo perché è mio amico, e le uniche sottolineature le faccio per il mio paese, Militello. Spero che vogliate consentirmelo». Strapaese: l'ex speranza politica di Democrazia Europea, il non-candidato al Governo della Sicilia, alla fine si rintana nel borgo natio: magari lo faranno sindaco ad honorem. La speranza - di tutti - è che invece resti qui in Riviera come direttore artistico a vita: ce ne fossero sempre, di festival così. Anche perché, nella disfida di Sanremo, il bersaglio scoperto, alla fine fine, non è Baudo ma proprio Del Noce. Che rivendica integrità morale e professionale: «Non avrei accettato di cambiare la mia linea editoriale a Raiuno perchè è cambiato il governo, altrimenti la mia dignità mi imporrebbe di andarmene». L'altra sera lo aveva attaccato - indirettamente - pure Zero, tra un «carrozzone» e l'altro. Ma il direttore non si faceva stropicciare la giacca: «Renato? È stato garbatissimo». E fin lì tiene botta. Sbraga invece, in maniera a dir poco bizzarra, ritornando sulla grana degli emolumenti. «Quanti artisti sono morti in povertà, quanti con un solo successo devono camparci una vita? Criticare singoli compensi è fare moralismo facile, il mondo dello spettacolo nel suo complesso è un sistema pieno di durezze». Non ci siamo: un conto è la legge Bacchelli, un conto i milioni frullati al vento. E se la Hunziker consente alla Rai di rientrarci con pubblicità, ascolti e sponsor vari, meno accettabili sono quei 250 mila euro per l'autoglorificazione della Cruz. Mentre metà degli italiani faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. In giornata, si accendono miccette a Palazzo: per Rampelli di An «Prodi fa il doppio gioco parlando di compensi stellari». L'Osservatorio Sociale chiede che la questione dei paghettoni sia affrontata dalla Corte dei Con