Non canto la politica, ma la vita quotidiana
Parlare con Francesco Guccini vuol dire entrare nelle viscere della canzone italiana. Sarà per il tono di voce ieratico, sarà per una raucedine che lo disturba da giorni ma il musicista modenese riesce a evocare con una sola parola un mondo intero. In questi giorni Guccini è in tournée e venerdì suonerà al Palalottomatica di Roma. Guccini, che tipo di spettacolo sta portando in giro per l'Italia? «Io sono sempre io e cambiamenti non ne faccio. Le prove dello spettacolo sono cominciate la scorsa estate. Abbiamo rinverdito un po' il programma ma i miei classici ci saranno tutti. E il concerto finirà con "La locomotiva"». Non ci sarà neppure una novità rispetto alle ultime esibizioni? «Beh, ora non esageriamo. Suoneremo un brano nuovo intitolato "Su in collina". Il testo è tratto da una poesia in dialetto bolognese tradotta in italiano e parla di un episodio della guerra partigiana». Nella società dell'immagine non ha mai sentito il bisogno di accompagnare i suoi show con effetti scenici? «No. E questa necessità non la sente neppure il mio pubblico. Nel mio Dna c'è uno spettacolo semplice. Il più semplice possibile. La vera protagonista deve essere la musica. Niente balletti o distrazioni altrimenti chi mi segue non si riconoscerebbe più». Da trent'anni sulla scena. Com'è cambiata la musica italiana in tutto questo tempo? «Oggi le case discografiche sono più deboli rispetto al passato. Molte sono addirittura scomparse. E poi il passaggio dal vinile al cd è stato traumatico». Non le sembra di esagerare un po'? «Ho una grande nostalgia per il fruscio dell'lp. Il cd è troppo freddo. Ancora oggi ascolto più volentieri musica su vinile. Senza dimenticare che l'arrivo di Internet ha ridotto anche le vendite dei dischi». Cosa pensa degli altri musicisti italiani? «L'ondata dei cantautori si è un po' esaurita. Siamo tornati alle classiche canzoni d'amore». Ed è meglio o peggio? «Ci sono alcuni autori che funzionano ma l'ottanta per cento della musica che si sente in giro è straniera e questo la dice lunga. In radio si ascoltano brani misteriosi in lingua inglese in cui non ci si capisce nulla. Ci vorrebbe più attenzione alla musica italiana». Oggi c'è ancora spazio per la canzone politica? «Secondo me non c'è mai stato». Non pensa, invece, che "La locomotiva" sia una canzone decisamente politica? «Forse si tratta dell'unico caso. Negli altri brani canto la vita quotidiana e, se parlo di politica, lo faccio solo indirettamente». Oltre a essere un musicista... «No, la prego, non mi chiami così. Sono solo un autore di canzoni». E che differenza c'è? «La canzone è una sintesi che deve restringersi in strofe e versi». Come preferisce. Oltre a essere un autore di canzoni ha al suo attivo diverse pubblicazioni letterarie. In quale veste si sente più a suo agio? «Da un po' di tempo mi sembra più facile scrivere una pagina che una canzone. Forse perché sono diventato più severo con me stesso. E poi anni fa suonavo la chitarra ogni giorno. Ora molto meno». Quali sono i prossimi progetti artistici? «A febbraio uscirà il mio nuovo libro giallo intitolato "Tango e gli altri". E poi sarà in libreria un'altra raccolta di racconti». Quando è nata la sua passione per la scrittura? «In realtà è nata addirittura prima di quella per la musica. Il passaggio chiave è stato l'avvento del computer. Ho iniziato a pubblicare libri proprio a partire da quel momento». Qual è il nesso tra il personal computer e l'attività di scrittore? «Con il computer ho cominciato a rivedere i miei racconti in tempo reale e in modo semplice con il classico copia e incolla». Dunque non tutto il progresso tecnologico viene per nuocere. O sbaglio? «Non c'è dubbio. Vasco Rossi ha perfino pubblicato un brano su Internet. Forse lo farei anch'io se solo sapessi come si fa. Pensi che a casa non ho neppure Internet».