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In una favola i sogni dell'America

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S.Smith, Thandie Newton, Stati Uniti, 2006. GABRIELE Muccino a Hollywood. Con tale felice risultato che il suo film, negli Stati Uniti, si è già inserito tra quelli che stanno avendo le migliori fortune al botteghino, con il consenso della critica. Il titolo e l'argomento, del resto, non potevano essere più tipici perché «la ricerca della felicità» è tra i diritti inalienabili dell'uomo sanciti da Thomas Jefferson nella sua «Dichiarazione di Indipendenza» e l'argomento è quello classico e sempre citato del «sogno americano» realizzato superando con perseverante coraggio difficoltà d'ogni sorta. La storia, che ha scritto per Muccino uno sceneggiatore di Hollywood, Steven Conrad, si rifà a vicende autentiche di cui è stato protagonista un uomo, oggi al vertice del successo, Chris Gardner, partito quasi dal niente e con mille avversità. Lo incontriamo quando, perso il lavoro, piantato dalla moglie, comincia, con un figlio di cinque anni al fianco, a darsi da fare per tirare avanti anche se, sfrattato di casa perché non può più pagare l'affitto, è costretto, con il bambino, a trovar riparo in un dormitorio pubblico e a consumare i suoi magri pasti in mense per i poveri. Nel frattempo però, in un'impresa finanziaria, studia, non remunerato, per diventare agente di cambio e alla fine non solo lo diventerà, con uno stipendio, ma riuscirà così bene a mettere a profitto quello ha imparato, da arrivare in vetta: dall'ago al milione, appunto. Il film, cui Muccino, pudicamente, affida il lieto fine quasi soltanto ai titoli di coda, segue da vicino, in modo affettuoso e spesso commovente, il calvario di quell'uomo che si dibatte con vigore tra le tante difficoltà da cui è afflitto, ingentilendo le sue peregrinazioni con la vicinanza sempre partecipe di quel bambino che tutto vede, soffre e comprende. In una città, San Francisco, ripresa dal vero nei quartieri più miseri di Chinatown e addirittura in Tenderloin, in un periodo, i tormentati anni Ottanta, enunciati, ma solo di sfondo, da Reagan in TV e dalla pubblicità sui taxi di «Toro scatenato» con De Niro. Con ritmi affannatissimi che quasi si vietano le soste e con uno stile di regia - secco, mobile, concitato - che conferma il pieno possesso del cinema ormai raggiunto da Muccino. Riscontrabile, ancora una volta, ma più del consueto, nella recitazione dei suoi interpreti, specie nel protagonista, il noto attore-divo afroamericano Will Smith che, affiancato, nei panni del bambino, dal suo stesso figlio, ha espressioni mimiche intensissime e raccolte; anche quando, dal principio alla fine, corre come un velocista. Dimostrando, forse, che la felicità la si ricerca correndo.

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