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Il regista americano è interessato alle «Illazioni» dell'autore triestino rielaborate con Ermanno Olmi

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Lo fa in un luogo chiuso: potrebbe essere un carcere, o anche un ospedale, magari una casa di riposo. Da questo luogo aveva ottenuto un permesso per uscire, una concessione eccezionale per le circostanze in cui si trova, ma alla fine ha deciso di non utilizzarlo e ora spiega le sue ragioni, i motivi profondi e apparentemente folli per i quali ha rinunciato a seguire l'uomo che ama e amerà sempre. È questo il tema del libro "Lei dunque capira" di Claudio Magris (edizioni Garzanti, pg. 55, euro 9.50). Sebbene il racconto narri il mistero della vita e della morte, attraverso l'amore di Orfeo e Euridice, il tono della narrazione è volutamente leggero e brioso. È così che verrà rappresentato al Teatro Eliseo di Roma, dal 24 gennaio, con la regia di Antonio Calenda e l'interpretazione di Daniela Giovanetti. Un monologo che tornerà a ricalcare la storia di Orfeo, mitico citareda di Ridope, figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope (ma secondo altri di Apollo e Calliope). Il Dio Apollo gli donò la lira, le muse gli insegnarono ad usarla e Orfeo divenne talmente abile che lo stesso Seneca scriveva: "Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente" e tutta la natura restava incantata ad ascoltarlo. Orfeo non è rimasto famoso solo per la sua musica o perché partecipò alla spedizione degli Argonauti, ma soprattutto perché riuscì a scendere nell'Ade, per cercare di riportare in vita la sua sposa, Euridice. Venne infatti concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi, a condizione che durante il viaggio verso la terra non si voltasse a guardarla in viso fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Ma Orfeo si voltò e perse per sempre la sua amata. Claudio Magris, nel suo libro, per la prima volta, Euridice racconta la sua verità e non quella di Orfeo: qual è? «La mia Euridice è una donna moderna che parla dall'aldilà: spiega che non è uscita dagli inferi per una sua volontà ben precisa, e non perché Orfeo si è voltato. Ricordando la sua passione, il suo incanto amoroso, ma anche le piccinerie della vita insieme con Orfeo, Euridice svela che ha risparmiato al suo amato l'impossibilità della verità: non c'è verità nell'aldilà come non c'è nella vita terrena. Orfeo, assetato di sapere, voleva conoscere la verità, che però coincide con il nulla. E sapendolo, Orfeo avrebbe sofferto tragicamente per la delusione». La delusione del sapere e degli ideali calpestati è un tema che ricorre anche nel suo romanzo "Alla cieca", ormai tradotto in una decina di lingue. «Sì, è vero. "Alla cieca" è però un romanzo corale nel quale le voci interiori del protagonista s'intrecciano e s'identificano con quelle di altri personaggi della Storia. Salvatore Cippico, il protagonista, è impiegato nei primi anni del Novecento nei cantieri di Monfalcone; poi, licenziato per attività antifascista, combattente nella guerra civile spagnola; poi, militare in Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale e, dopo l'8 settembre, partigiano. Emigra in Jugoslavia per costruire il socialismo ma, in seguito alla rottura tra Tito e Stalin, viene rinchiuso nel gulag di Goli Otok nell'isola Nuda. Infine, emigra in Australia all'inizio degli anni Cinquanta. Il suo profilo si confonde con quello di un uomo vissuto un secolo prima: è Jorgen Jorgensen, corsaro, uomo d'azione e d'avventura dell'Ottocento, che fondò città e si autoproclamò re di Islanda, finendo per essere condannato ai lavori forzati a Hobart Down in Tasmania». Perché il titolo "Alla cieca"? «Ricorda un aneddoto. Nelson, durante la battaglia di Copenhagen, nonostante avesse già vinto continuava a sparare. Quando gli chiesero il motivo di tanta ostinazione, Nelson rispose che gli dispiaceva ma che non aveva visto la bandiera bianca perché aveva accostato il binocolo al suo occhio cieco. Questo ricorda come persino di fronte alla realtà degli orrori commessi l'uomo si crea delle giustificazioni, navigando senza luce». Dalla narrativa al teatro, e ora passerà al cinema, visto ch

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