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«Il matrimonio» di Bier tra dramma e poesia

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ANCORA un film danese di qualità. Per merito di una regista, Susanne Bier, che appena l'altr'anno si era fatta molto apprezzare con un film su una famiglia, «Non desiderare la donna d'altri», intitolato molto più coerentemente «Fratelli», nella versione originale. Una famiglia anche qui, che si scompone e ricompone perfino a distanza, tra l'India e, appunto, la Danimarca. Si comincia con Jacob, dedito, in una città indiana, a togliere i bambini dalla strada gestendo, con pazienza e dedizione, un'impresa di volontariato, purtroppo, date le circostanze, sempre a corto di finanziamenti. Sembra prometterglieli un miliardario di Copenhagen, Jorgen, che prima però vuole incontrarlo di persona. Jacob, data la situazione precaria della sua impresa e pur separandosi a fatica dai suoi bambini, parte subiti e con una certa sorpresa vede che il suo arrivo coincide con una festa per celebrare il matrimonio della figlia del suo futuro benefattore. Se non che, proprio in quell'occasione, scopre che la ragazza, è solo la figlia adottiva Jorgen e che sua madre, oggi moglie felice e fedele, è stata una sua antica fiamma tanto che, con una probabilità presto confermata, quella figlia è sua. Per questo è stato chiamato da Jorgen o tutto è pura coincidenza? Il testo, scritto per Susanne Bier, da un suo sceneggiatore abituale, Anders Thomas Jensen, noto in Danimarca anche come regista, non risponde del tutto a questo interrogativo ma vi costruisce attorno una vicenda che, pur toccando spunti drammatici e, alla fine, anche laceranti, si affida soprattutto a una cifra intimista in cui le psicologie, tra il presente e il passato via via ricostruito, si dipanano a poco a poco, con dubbi, recriminazioni, contrasti. Per arrivare a una conclusione che, pur in un certo senso positiva, costerà dolori e rinunce a tutti. Susanne Bier ha trattato con finezza questa materia, che, pur sommessa, rischiava spesso di diventare incandescente. Ha evitato, anche là dove poteva essercene l'occasione, qualsiasi patetismo e ha svolto l'azione sempre con tocchi lievi, privilegiando immagini molto ravvicinate, perfino con dettagli e occhi spesso in primo piano: per far emergere dal dramma, pur violento, soprattutto l'animo dei personaggi singoli, quasi vivizionato. la coadiuvano interpreti d'eccezione, poco noti da noi, ma tutti di classe. Cito solo Mads Mikkelsen come Jacob e Rolf Lassgard come Jorgen: due facce che bucano lo schermo.

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