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Il fantasma scomodo di Lennon

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In quegli anni, della grande famiglia dei Beatles erano rimaste solo le ex mogli, che avevano deciso di trascorrere insieme le feste natalizie. Maureen passò il telefono all'amica. Dall'altra parte del filo - e dell'Atlantico - c'era Ringo che singhiozzava disperatamente: «Cyn, mi dispiace, John è morto». Gli aveva sparato un tizio dall'aria allucinata, Mark David Chapman, che poche ore prima aveva chiesto e ottenuto dal suo eroe un autografo sulla copia dell'album nuovo di zecca, "Double Fantasy" e poi trascorso il resto della giornata rileggendo il capolavoro di Salinger, "Il giovane Holden", gironzolando attorno alla dimora di Lennon, il residence Dakota di Manhattan. L'assassino sostenne poi di non aver provato alcuna emozione mentre premeva per cinque volte il grilletto della sua calibro 38. Solo una voce nella testa che gli ripeteva insistentemente: «Fallo! Spara! Spara!». Arthur O' Connor, un detective che aveva sorvegliato per ore Chapman dopo l'arresto, ammise la possibilità «che il killer potesse essere stato manipolato da qualcuno. Dai suoi atteggiamenti appariva probabile che fosse stato programmato per uccidere». E la teoria della cospirazione è risalita fino alle tracce lasciate da Chapman in campi terzomondisti che erano stati infiltrati dalla Cia: inquietante e ingiustificato, nel contesto, un viaggio per «volontariato» dell'aguzzino sino a Beirut. Non era un segreto, del resto (come dimostra anche il documentario "Gli Stati Uniti contro John Lennon", diretto dal regista John Scheinfeld, presentato all'ultima Mostra di Venezia), che l'establishment americano sognasse di sbarazzarsi dell'irrequieto musicista, negandogli sempre il permesso di soggiorno. Sin dall'inizio degli anni Settanta l'FBI lo teneva sotto costante sorveglianza: non gli avevano perdonato i concerti anti-Nixon e per la liberazione del leader delle Pantere Bianche John Sinclair. I Federali avevano riempito sull'ex Beatle un dossier di quasi trecento pagine: su una di esse il direttore del Bureau, il famigerato J.Edgar Hoover aveva scritto a lettere maiuscole: "Tutti gli estremisti devono essere giudicati pericolosi". Lennon confidò a un amico: «Ascolta, se succede qualcosa a me o Yoko, non sarà un incidente». La caccia si interruppe nel periodo della presidenza Carter, il delitto avvenne quando Reagan si stabilì alla Casa Bianca. Coincidenze, suggestioni. O chissà. A vario titolo, vi daranno corpo altri film in arrivo: "The Killing of John Lennon", di Andrew Piddington, e l'hollywoodiano "Chapter 27", interpretato da Jared Leto e Lindsay Lohan. Del resto, a rileggere gli indizi di quella tragedia newyorchese, si può costruire con facilità una spy-story, o una mezza leggenda esoterica. Cynthia racconta di come, alla vigilia di quel lutto, lei e Maureen rabbrividirono (senza capirne bene il motivo) scoprendo una pistola giocattolo come regalo sotto l'albero di Natale. E di come, non appena il figlio Julian era volato in America nei luoghi in cui era stato ucciso il padre, il camino crollò dentro la mansarda della casa dove dormiva fino a poche ore prima. Come sia, nel giorno in cui - titolò "Time" - "moriva la musica" (ma poi non è mai stato vero, come dimostrano le rielaborazioni odierne del cd "Love") e tutte le radio e le tv del pianeta diffondevano per omaggio le sue canzoni, Lennon era già da tempo una sorta di ingombrante fantasma per la sua consorte degli anni felici: il racconto appassionante di quel matrimonio è nella biografia "John" (Coniglio Editore, 24 euro), che Cynthia Lennon dedica all'uomo che le illuminò la vita per dieci anni: dal corteggiamento alla Liverpool School Of Arts fino alla scoperta del tradimento con Yoko Ono. Una parabola sentimentale che fa dire alla donna, nelle ultime righe del libro: «Anche se non potrei mai rimpiangere di avere avuto il mio meraviglioso Julian, la verità è che se da ragazzina avessi saputo quanto mi sarebbe costato innamorarmi di John Lennon, mi s

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