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Visto dal critico

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Zhang Yimou, la firma più celebrata del cinema cinese, torna ai climi dimessi e quasi intimisti di alcuni anni fa. Dopo le immagini opulento e i ritmi affannatissimi dei suoi film più recenti, «Hero» e «La casa dei pugnali volanti». Adesso facendosi ispirare da un classico cinese del XIV Secolo, «Il Romanzo dei Tre Regni» di Luo Guanzhong, riletto oggi: ci dice di un padre e di un figlio, in Giappone. Il primo vive in un villaggio di pescatori; il secondo, a Tokio, è diventato un regista di film che hanno come oggetto l'antico folklore cinese. Da anni avversa il padre, per vecchi rancori, così quando sua moglie, sapendo che sta morendo, glielo fa arrivare al capezzale, si rifiuta di incontrarlo. Un unico dato, forse, potrebbe fargli mutare atteggiamento, l'incontro del padre con un celebre cantore cinese di cui lui non aveva fatto in tempo a riprendere una delle sue esibizioni più acclamate. L'altro non esita e, pur non parlando cinese, con l'aiuto di una interprete, si dà a cercare quel cantore con lo sconforto di apprendere che adesso è in prigione dove resterà per almeno tre anni. Superato anche quell'ostacolo ed essendo riuscito a organizzare comunque una recita nel carcere, si scontra con l'impossibilità del cantore di esibirsi, perché affranto all'idea di un figlio bambino che non ha mai visto. Da qui il resto, con la ricerca, in zone impervie, di quel bambino che, pur rifiutando di andare da un padre a lui estraneo, si lega affettivamente all'altro che riuscirà, con lui, a comportarsi come, in passato, non era riuscito a comportarsi con il proprio figlio, deludendolo. Tutto sommesso. Anche quando una conclusione in un certo senso poteva lasciare inserirsi nel racconto degli accenti patetici . In primo piano c'è sempre quel padre: che viaggia, che vuol riconquistare il figlio, che insensibilmente, nel bambino incontrato quasi per caso, vede il figlio da cui si era distaccato riparando adesso, con l'altro, a quella distanza di anni prima. In cornici che, dopo le scenografie gelide dell'ospedale di Tokio da cui l'azione prende le mosse, si dilatano al cospetto di una zona rurale cinese ripresa ora con colori forti ora con sfumature quasi abbacinate, lasciando, sempre, che vi si muova in mezzo quel padre prima con la sua ostinazione poi con il suo tormento. Lo ricrea uno dei più noti attori giapponesi, Takamura Ken, visto anche in molti film di Hollywood, da «The Yakuza» con Robert Mitchum a «Black Rain-Pioggia sporca» di Ridley Scott con Michael Douglas. Taciturno, chiuso in se stesso, recita con la mimica e lo sguardo. Convincendo sempre.

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