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La via della Pace passa per Internet

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Gli ricordi che il 14 luglio lì davanti ci suoneranno i Genesis. Azzardi che magari per una sola volta, destinando la sua quota in beneficenza, potrebbe decidersi per la rimpatriata. Gabriel sorride sornione: «Ne ho parlato con loro per mesi. Quei tre volevano coinvolgermi in modo totale, a un livello che non potevo permettermi. Ho troppi progetti da seguire. No, non succederà. Forse, chissà, un giorno...». La stessa risposta che si era sentito dare Tony Banks, in quello che doveva essere il colloquio decisivo per la riunione della leggendaria band. «Pensavo che Peter fosse pronto a discutere di date, di brani da eseguire. Invece lo trovai evasivo, e capii che non c'era nulla da fare», raccontò poi il tastierista. Amen. Non che il buon Gabriel se ne stia con le mani in mano. Magari diluisce in tempi giurassici la fattura di ogni suo album, questo sì: tanto che il bassista Tony Levin gli rimprovera di lasciar ammuffire nello studio di Bath almeno cento pezzi pronti per la stampa. E se gli chiedi quando diavolo sarà pubblicato il prossimo cd, intitolato "I/O", e al quale lavora da anni, fa spallucce e ghigna: «È che sono un tipo distratto». Il destino del mondo pare gravargli sulle spalle, e lui cerca soluzioni, come un Atlante mediatico. O come un affidabile guru dell'epoca di internet. Intanto, è salito al Campidoglio per ricevere dalle mani di Veltroni il premio "Dafne": è lui "l'uomo della pace 2006". Da Walesa alla Montalcini, i Nobel lo applaudono: Peter sottolinea che questo riconoscimento ha per lui «un significato molto più profondo di tutti gli altri ricevuti, proprio a causa delle persone che me lo hanno conferito, per l'esempio straordinario che hanno offerto con le loro vite e le loro scelte». Poi, nella deliziosa baraonda post-cerimonia, accetta di sedersi dieci preziosi minuti per spiegare a «Il Tempo» quali strade occorra percorrere per non rendere la parola "pace" una scatola vuota, una suggestione, un miraggio. «Beh, una è quella di mettere un po' più di saggezza nelle teste di chi è chiamato a decidere, a qualunque livello. Nel mio mondo, quello musicale, ora esistono gli strumenti per mettere in contatto direttamente l'artista con il consumatore», racconta Gabriel. «Gli intermediari, le case discografiche, hanno perso importanza e potere. Analogamente, questo può essere un processo utile per ridimensionare chi siede nella stanza dei bottoni. Se utilizziamo la tecnologia per creare connessioni tra gli individui, uno per uno, saremo di fronte a una sorta di democrazia orizzontale. Dobbiamo consentire che ogni uomo esprima i propri sentimenti, le speranze, le paure, le idee che reca dentro di sé: così, forse, potremo offrire una vera chance alla pace». Per il 56enne ex cantante dei Genesis l'elemento chiave è garantire informazione e consapevolezza a chiunque. «Sì, molti dei problemi che affliggono il pianeta saranno risolti quando la gente sarà affrancata dall'ignoranza: pensi all'Aids. Quando combatti contro questo tipo di sciagure epocali, l'unica strategia vincente è quella dell'educazione. E dell'aggiramento di ogni censura». Non a caso, quindici anni fa Gabriel fondò "Witness", un ente transnazionale umanitario per la fornitura di telecamere, telefoni e altri mezzi di comunicazione in aree oppresse del pianeta. Per diffondere attraverso la Rete le testimonianze di torture, soprusi, vessazioni e denunciare la disinformazione pianificata dai regimi dittatoriali. «I miei collaboratori lavorano con Aisha, una ragazza di Mogadiscio che ha organizzato una lobby per far eleggere, presto o tardi, le donne al Parlamento somalo. Il suo primo passo è stato aprire un cybercafé al femminile. In quei locali, nel suo Paese, è consentito l'ingresso ai soli uomini. Aisha sa che la chiave per una svolta politica nella sua terra è fornire informazioni a chi non ha diritto a farsi eleggere. Questo non risolverà tutto, ma le nuove tecnologie sono un tesoro che non dobbiamo sperperare». Per rafforzare l'operatività di "Witness",

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