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Suspense e azione nel duro mondo di Cuarón

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UUN FILM inglese. Firmato però da un regista messicano, Alfonso Cuarón, molto noto in patria specie dopo che un suo film, «Y tu mamá tambien», è stato premiato a una Mostra di Venezia, ma apprezzato anche a livello internazionale per avere diretto, di recente, un episodio della serie di Harry Potter «Il prigioniero di Azkabam». Il film di oggi, titolo italiano «I figli degli uomini», è tratto da un romanzo di una delle più celebrate gialliste inglesi, Phillis Dorothy James, ma sa anche apparentarsi alla fantascienza. Siamo infatti nella Londra del 2027. Il mondo attorno va a pezzi, arrivato all'ultima spiaggia anche perché, probabilmente a causa dell'inquinamento, tutte le donne sono sterili, tanto che, da diciannove anni, non nascono più bambini. Così, fatalmente, la razza umana si accinge ad annullarsi. Fino al momento, del tutto inatteso, in cui una immigrata clandestina di colore si ritrova in stato interessante. In una situazione, però, in cui, per tutelare quei pochi inglesi che restano, si rinchiudono tutti gli immigrati, clandestini e no, in funebri gabbie all'interno di lugubri campi di concentramento. La soluzione la troverà un uomo comune e non certo eroico che, coinvolto da una sua ex compagna, ora fervente e polemica attivista, riuscirà, pur ad ogni svolta non sentendosi all'altezza a far uscire la donna incinta dai ghetti londinesi, e a portarla verso la salvezza. Non solo la propria ma, in definitiva, anche di tutta l'intera umanità alla vigilia della sua probabile e imminente estinzione. Schemi e modi di una violenza inaudita, immagini sempre cariche d'angoscia, tra luci plumbee, scenografie spettrali (ricreate nelle più squallide periferie dell'Hampshire) e un sonoro traboccante di echi sinistri. Affidati a ritmi che, nonostante la macchina quasi sempre a mano, sia prodiga di sequenze intente a non interrompere l'azione, tra spari, inseguimenti, fughe affannate, rievocazioni quasi allucinate di un Potere contrastato da un terrorismo altrettanto negativo, riescono sempre a prendere alla gola. Facendo, ad ogni pagina, dilagare l'incubo. Gli interpreti, ovviamente, concorrono al raggiungimento solido di questi risultati. Il protagonista, volutamente "non eroe", è Clive Owen, una maschera segnata, attraversata però da tremiti. L'ex compagna è Julianne Moore, dura ed indomita. Non dimentico però, in una pagina pittoresca, l'apparizione fugace ma intensissima di Michael Caine, un hippie con occhiali, barba canuta e capelli lunghi. La firma del cinema inglese migliore.

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