Il «Requiem» di Schmid contro l'esorcismo
Oggi, a distanza di trent'anni, nella cittadina tedesca di Klingenberg, ogni anno giungono migliaia di pellegrini a venerare la ragazza come una martire. Da questo epilogo, nutrito da un'idea distorta della fede e dalla polemica contro il moderno oscurantismo, il regista Hans Christian Schmid ha realizzato il film «Requiem», da venerdì nelle sale distribuito da Lucky Red, con l'interpretazione di Sandra Huller, che si è ampiamente meritata l'Orso d'argento a Berlino. «Non ho una presa di posizione contro la Chiesa cattolica - ha detto il regista, ieri a Roma -. Mi sono ispirato alla storia vera di questa controversa eroina che, malata di epilessia, si rifugiò nelle tradizioni familiari per ignoranza del contesto sociale in cui era cresciuta. Ma nel film abbiamo deciso di prendere le distanze dai fatti per rispetto alla famiglia di Anneliese e per avere più libertà di raccontare un'epoca e un personaggio. Ciò che ho cercato di cogliere è la fretta di vivere, lo smarrimento nel trapianto dalla provincia alla città, dove la giovane frequenta l'università, in un tempo, gli anni Settanta, che oggi ci appaiono lontanissimi, ma che hanno invece oggettive consonanze con l'epoca attuale». La parabola di Michaela, la 21enne provinciale protagonista del film, inizia nella Germania del Sud, dove più forte è il sentimento religioso. Ammalata di epilessia, è costretta a celare anche a sè stessa il suo male, per le convenzioni familiari e per timidezza di fronte alla malattia. Quando s'innamora di Stefan, lontano da casa e dalla rigida educazione materna, cede di schianto: vede volti inesistenti, soffre di mancamenti, sente voci. Nel timore di tornare a casa, Michaela si rivolge a un prete anzichè ai medici, e finisce in un tunnel di autoconvinzione fideistica che prelude alla tragedia. «Non credo nelle possessioni demoniache, ma esistono le paure di uno sfondo sociale rigido, di una morale imposta che, sommata ai sensi di colpa, causano elementi esplosivi da cui nasce il disastro interiore, come accade nel film a Michela e come insegna il caso vero di Anneliese».