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L'invito alla tolleranza nella favola di Ocelot«Azur e Asmar» storia di due amici inseparabili, un cristiano e un musulmano

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Francia, Italia, Spagna, Belgio, 2006. UN gioiellino. Bello da vedersi, piacevole da seguirsi. Con l'incanto della favola per bambini, ma anche con una grazia capace di coinvolgere gli adulti di buon gusto. Ne è responsabile quel regista francese di animazione, Michel Ocelot, già andato incontro a un festosissimo successo con «Kiriku e la strega Karabà», seguito, un poco più in la, da «Kirikù e gli animali selvaggi». In quei due film eravamo nel cuore dell'Africa nera, oggi. In questo, siamo nell'Africa araba, nel Medio Evo. I due nomi del titolo appartengono a due bambini, Azur, biondo e con gli occhi azzurri, figlio di un nobile, Asmar, un moretto con gli occhi neri, figlio di una donna che è però anche la nutrice del primo. Asmar e la sua mamma, cresciuto Azur, vengono allontanati, ma l'altro, lasciati i suoi, parte a cercarli finendo però presto, dopo molte peripezie, in una regione dove si parla solo arabo (che lui comunque ha imparato dalla nutrice), ma dove i suoi occhi azzurri, denunciandolo come diverso, mettono subito in fuga tutti quelli che incontra perché sospettato di annunciare sciagure. Arriverà però più tardi a incontrare di nuovo la nutrice, in un palazzo tutto d'oro, pronto adesso a competere con Asnar per conquistare l'amore di una bella fata, servita da uno stuolo di Dijn, quei folletti che, nella versione orientale, corrispondono ai nostri elfi. La conclusione vedrà trasformata la rivalità fra i due giovani in un gesto di solidarietà generosa e tutti così alla fine saranno contenti riuscendo anche a farci intendere "la morale della favola", che è un invito, meditato e preciso, alla tolleranza: sia che si abbiano gli occhi azzurri, sia che, parlando in arabo si abbiano gli occhi neri. Incanto e grazia, appunto. Non solo nel disegno dei singoli personaggi, senza mai la terza dimensione oggi tanto di moda, ma anche, e forse soprattutto, nelle cornici preziose che, lasciato l'Occidente, li accolgono in un Oriente sì favoloso (con fate, Dijn, leoni rossi con unghie blu, uccelli giganti usciti dalle Mille e Una Notte), ma figurativamente ispirato a un'arte persiana antica prodiga di colori e di arabeschi, in cui giungono fervidamente a dispiegarsi tutte le magie possibili. Con il gusto di una pittura che, rinunciando per tradizione alla figura umana, sa sostituirla con una moltitudine di segni tutti votati alla perfezione e alla bellezza. Ci si affidi a quei segni, ma anche a quella favola che, oltre a voler darci una lezione sa sciorinarcela davanti mirando alla poesia. E raggiungendola spesso.

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