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L'Europa sta perdendo la sua cultura

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Il regista di «A 30 secondi dalla fine» vede un grande futuro per il cinema russo, per quello italiano e, più in generale, per quello di tutta l'Europa, ma difficile da raggiungere, «perché - spiega - i giovani non studiano più i classici e la televisione sta creando un modo distorto di recitare, privo di emozione». Una sorta di fast food dello spettacolo. «E io amo lo slow food - precisa il maestro nato nel '37 in quella che allora era l'Unione Sovietica -. Amo assaporare piano le cose veramente buone della vita». E per farlo spesso viene in Italia per lavoro, ma non solo. Maestro Konchalovsky quando tornerà in Italia? «Prestissimo, sarò in Toscana tra un mese. A Roma, invece, verrò il 15 gennaio per annunciare con una conferenza stampa la mia tournée teatrale. Porto in scena "Il gabbiano" di Anton Cechov, in un allestimento molto classico. L'opera sarà recitata in russo con la sottotitolazione in italiano. Con "Il gabbiano" sarò al teatro Agentina di Roma il 3 e 4 febbraio, poi al Goldoni di Venezia e ancora il 9 e il 10 a Reggio Emilia». Ha mantenuto la promessa che ha fatto un po' di tempo fa: dedicarsi solo al teatro... «Ma no, non trascuro il cinema. Ho appena finito di girare un film, che sarà pronto per la prossima estate: in Italia si intitolerà "Carta patinata". È un film sulla moda, sulla vita superficiale che si fa in questo mondo... una specie di "Dolce vita" ambientato in Russia». Se il film sarà pronto in estate, forse la vedremo alla prossima edizione di «Cinema. Festa internazionale di Roma»? «Speriamo, ne sarei contento. È chiaro che non trascuro il cinema, ma confesso che oggi vorrei aver iniziato a lavorare per il teatro dieci anni prima di quello che invece ho fatto. È bellissimo portare in scena grandi classici, come Sofocle». «Il gabbiano» è un testo importante per lei? «Sì, certo, importantissimo. Torno a rappresentare questo classico dopo vent'anni. Allora, erano gli anni Ottanta, fui invitato a Parigi da Giorgio Strehler per fare quest'opera: fu un'esperienza eccezionale, emozionante». Nello spettacolo attuale recita la sua signora, Julia Vysotskaya? «Sì, è con lei e con molti altri bravissimi attori». E perché ha deciso di tornare a questa opera? «Trovo che nelle nuove versioni, che si sono viste recentemente, del "Gabbiano", ci sia poco rispetto per un testo così importante. Cechov è uno degli autori maggiori... veramente un grande classico, come Shakespeare o Pirandello. I giovani artisti spesso giocano. È colpa anche della televisione». Ce l'ha con la tv? «Ma certo, in televisione non è possibile recitare. I dialoghi sono primitivi, c'è poca letteratura. E i giovani attori si formano proprio con la televisione. Per loro invece sarebbe importante studiare e recitare i classici. L'apertura e la visione che danno i massimi autori è fondamentale, non c'è nulla che li possa sostituire». Ma, maestro Konchalovsky, lei ha lavorato per la televisione. Ha fatto l'«Odissea». «Sì, ho fatto televisione, ma con Omero. Quello è un buon autore». E come vede il futuro del cinema russo? «È come quello del cinema italiano: pieno di problemi perché i giovani non vogliono imparare le tradizioni, le grandi tradizioni dei loro Paesi». Lei inquadra i problemi del cinema in un ambito europeo? «Sì, certo, quello della rottura con le tradizioni è un problema che non esiste in Cina o in Iran, che sono anche grandi nazioni. Mentre in Occidente c'è il Postmodernismo che annulla il senso delle nazionalità. Insomma, il pericolo è di perdere la visione europea, ma senza rendersi conto che non si può vivere senza tradizioni. Senza passato non c'è futuro. E ritornando al cinema russo vorrei dire che, comunque, ha un futuro interessante. Per i russi è più facile mantenere il contatto con il proprio passato: siamo un po' isolati, ai confini dell'Europa. I russi sono un po'... provinciali e

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