La Babele di Iñárritu è una nera fatalità
TRE storie. In Marocco, in Messico, in Giappone. Con dei personaggi che le collegano all'insegna di una nera fatalità, esacerbata dalla confusione delle lingue (da cui la «Babele» del titolo), anche se, quando si concludono, qualcuno avrà ancora modo di sperare. Le ha dipanate, dopo i successi di «Amores Perros» e di «21 grammi», il regista messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu che, anche questa volta, se le è fatte scrivere dal noto romanziere Guillermo Arriaga. Si comincia con un turista giapponese che regala un fucile alla sua guida marocchina. Seguono i figli di quest'ultimo che, sparando all'impazzata con quel fucile, colpiscono da lontano una turista americana in viaggio di piacere con il marito. L'attenzione su loro due, con l'uomo che ce la mette tutta per strappare la moglie alla morte, in una zona in cui è molto arduo ricevere soccorsi. Mentre negli Stati Uniti i due bambini della coppia, affidati a una tata messicana, vengono da lei condotti per un giorno in Messico perché si sposa suo figlio. Alternando loro la vicenda di una ragazza giapponese, figlia proprio del turista che aveva regalato il fucile, convinta che il suicidio di sua madre sia stato provocato dal padre: con tali traumi da tentare di risolverli, pur giovanissima, tramite il sesso... Il procedimento narrativo non solo rimescola abilmente le tre storie, ma le espone in molti momenti senza rispettare l'ordine cronologico dei fatti. I climi le diversificano molto l'una dall'altra. Quella in Marocco è affannosa, disperata, con il marito furente perché non riesce ad aver subito l'aiuto di cui ha bisogno e uno scontro, attorno, concitato ed esasperato con tutti. Mentre via via si chiarisce il suo rapporto con la moglie di cui, all'inizio, non si spiegano volutamente le tensioni. Quasi al suo opposto la storia in Giappone, misteriosa, interiore, con ritmi sommessi, soprattutto allusivi. Mentre quella in Messico, pur colorata, quando comincia, dal folclore della festa di nozze, si fa torva e anche questa disperata al momento di chiudere: con i due bambini esposti a tutti i rischi. Climi distinti, appunto, e spesso in contrasto, armonizzati però dalla regia fervida di Iñárritu che, con un rigoroso equilibrio figurativo ottiene dalle immagini di esprimere sempre, più dei fatti, gli stati d'animo e le emozioni; con un fortissimo impatto visivo. Lo sorregge con effetti saldi l'interpretazione di tutti, ma specialmente, nella storia in Marocco, di Brad Pitt, un marito angosciato e stralunato, attore vero, mai divo, e di Cate Blanchett, una moglie fragile e affranta. Un duetto che non si dimentica.