Visto dal critico
Con Iosseliani il dramma diventa comico
UNA FAVOLA paradossale. Il cui slogan (non so da quanti condiviso) potrebbe essere «meglio il giardinaggio del potere». Ce la racconta l'ex georgiano ora francese Otar Iosseliani con i suoi modi abituali tra l'ironia e la leggerezza. Questa volta, però, l'ironia resta di sfondo e la leggerezza incespica. Si comincia a Parigi, con un ministro probabilmente dell'Agricoltura. Ha un'amante frivola e spendacciona, un'auto ufficiale chilometrica e dei funzionari servizievoli, anzi servili, con i quali lavora molto perché, nel suo ufficio, si è fatta installare una palestra e vi si passa buona parte del suo tempo sollevando pesi. Un giorno, però, un tumulto in piazza contro la sua gestione provoca l'ira del Primo Ministro costringendolo alle dimissioni. Tutto, attorno, cambia: l'amante lo pianta per il suo successore, i funzionari gli voltano le spalle e per tornare a casa deve accontentarsi di un passaggio in motorino. Adesso però la casa è occupata da emigrati clandestini e all'ex ministro tocca trovare riparo altrove, finendo a un certo punto addirittura sotto i ponti della Senna tra i barboni. Ma ha una vecchia madre con una casa in campagna e lì, dopo varie peripezie, troverà rifugio dedicandosi con tale soddisfazione al giardinaggio che quando, su una panchina, incontrerà il suo successore andato presto incontro alla sua stessa sorte, non solo dirà di non voglierlene, ma anzi lo ringrazierà di cuore perché sente di aver finalmente trovato la sua strada. Qua e la, appunto, qualcosa di ironico si fa avanti: gli alti e bassi del potere, esposti, in qualche momento, con i toni della beffa, l'occupazione delle case invase da gruppi multietnici che si ritengono più forti della legge, i nuovi amici del protagonista raccolti tra una e vera e propria fauna di disederati e da ultimo, quella vecchia madre, cui l'ex ministro chiede accoglienza, che, per uno scherzo di regia, anziché essere interpretata da una donna lo è da Michel Piccoli, occhialetti, capelli raccolti sulla nuca, il passo incerto, la voce sempre virile ma un po' tremula. Il tutto, però svolto con accenti insistiti e prolissi, calcando sui caratteri fino a ridurli a macchiette e non reggendo mai con molto ordine una costruzione narrativa che, quando non divaga, stenta comunque a privilegiare, nel suo svolgersi, la scioltezza. Gli interpreti, a parte Piccoli che, essendo un attore noto, nel cinema di Iosseliani è una eccezione, sono tutti alle prime armi, compreso il protagonista, Sèverin Blanchet, che non brilla certo per espressività. Quanto agli altri, si propongono quasi tutti solo come maschere.