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di NATALIA POGGI SOMALY Mam è l'angelo delle donne perdute, vittime di violenze odiose, stuprate, vendute ...

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Lei le va a raccogliere nei bordelli, le strappa dalle mani degli aguzzini, le cura, le nutre e cerca di ridare alle loro povere anime una speranza di vita. In questi giorni la signora Mam, nata in un villaggio tra le montagne cambogiane, è a Roma per presentare il suo libro-autobiografia «Il silenzio dell'innocenza» (Ed. Corbaccio). Ha la pelle ramata e due occhioni neri, profondi e tristi. Dalla borsa rosa tira fuori una piccola fotografia con sopra una scritta «Happy Halloween». Immortalati dall'obiettivo due bambini, un maschietto e una femminuccia, che ridono solari. Somaly Mam accarezza la foto e il suo sguardo si fa cupo come la pece. «Questa bimba qui si chiama Sry Much ha sei anni e mezzo, è un'amichetta di mio figlio e sta morendo di Aids. Proprio stamattina ho ricevuto una telefonata da Phnom Penh. Mi hanno comunicato che s'è aggravata. Ecco io, adesso, vorrei stare lì vicino al suo lettino a tenerle la mano, a piangere in silenzio. È stata venduta dai genitori a soli cinque anni ed è finita in un bordello dove l'hanno ripetutamente violentata e poi contagiata». Nella sua autobiografia lei non ha tralasciato niente. Nel villaggio montano cresce senza il calore di una famiglia vera, a 10 anni viene venduta come schiava domestica a un vecchio che diventa suo "nonno" e che la sfrutta, dodicenne subisce violenza sessuale da un commerciante cinese e dopo un matrimonio combinato a 14 anni e varie esperienze lavorative resta vedova e viene venduta dal "nonno padrone" a un bordello. Più volte descrive la condizione di totale passività della donna cambogiana, trattata come schiava, in balia assoluta degli uomini-padroni. La situazione attuale nel suo paese è cambiata? «Non è cambiato nulla. La cultura dominante è sempre quella. Le donne sono tenute a ubbidire e se non lo fanno vengono bastonate. Devono portare rispetto, gratitudine e perdono a chi le accudisce e le assicura il nutrimento. Per molto tempo è stato proibito loro di ribellarsi a qualsiasi forma di maltrattamento. Oggi c'è una legge che condanna la violenza domestica. Una donna picchiata dal marito o dal padre-padrone può denunciare il parente. Certo è difficile cambiare una mentalità così radicata. Ma associazioni come la nostra aiutano le donne a ribellarsi a questa schiavitù atavica». L'associazione Afesip che lei ha creato in Cambogia lotta contro lo sfruttamento sessuale in particolare delle bambine e delle adolescenti vittime del commercio sessuale. Avete aperto sedi anche in Vietnam, Laos e Thailandia. L'Afesip vive grazie a fondi, e aiuti internazionali. È stato difficile, all'inizio, smuovere la solidarietà? «Ci sono state chiuse tante porte in faccia per poca disponibilità e diffidenza. Ma anche persone che mi hanno aiutato molto come Emma Bonino quando era commissario europeo per le questioni umanitarie. Le sono molto riconoscente. E poi in Spagna ho ricevuto il premio Principe delle Asturie Cooperazione Internazionale. Ma ora è difficile. In Cambogia la mia attività è fortemente ostacolata. Ricevo regolarmente minacce di morte e sono perennemente angosciata per i miei figli. La corruzione è dilagante e i commercianti di sesso sono collusi con le forze dell'ordine. C'è, poi, la piaga della pedofilia e le minorenni uccise dall'Aids. Nel nostro centro ne abbiamo assistite tante fino a che non sono morte. La mia associazione ha un impellente bisogno di denaro. I miei collaboratori non percepiscono stipendi da mesi, non abbiamo più soldi per dar da mangiare alle ragazze nè per comprare riso alle bambine. Sono molto scoraggiata, ho perso la fiducia nel futuro. C'è una situazione tremenda. Noi raccogliamo ragazzine vendute dai genitori e violentate senza scrupoli, le curiamo e poi cerchiamo un loro reinserimento. Il 40% di loro, però, finisce con lo sparire inghiottito di nuovo nella prostituzione». In che cosa consiste il reinserimento? «All'interno del centro abbiamo creato una fabbrica di vestiti, sciarpe ecc che attualmente riusciamo a

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