di FULVIO STINCHELLI DOMENICO Napoleone Orsini, figlio di Filippo (l'ultimo della famiglia a ricoprire ...

«Intendiamoci - dice don Domenico -, non voglio impancarmi a critico letterario, ci mancherebbe altro. Parlo per me, anzi, per noi, gli Orsini, che siamo stati in quel libro trattati con poco riguardo. Ma come?, fin dal titolo: "Guida completa alle grandi famiglie di Roma", quel libro pretende di essere attento, preciso e, soprattutto, completo, e lui, l'autore, invece, che ti fa? Sbatte Casa Orsini in posizione subalterna rispetto ad altre famiglie romane riverite, esaltate e incensate. Non dico che i Colonna, i Chigi, i Borghese, i Barberini eccetera non meritassero le reverenze tributate loro dal Majanlhati. Dico che dell'eletta compagnia, con collocazione e spazi quanto meno pari, avrebbe dovuto far parte anche la mia famiglia…». Nel libro, comunque, non siete ignorati. Siete citati diffusamente più volte. «E vorrei vedere che non fossimo nemmeno citati. Basta avere una sommaria conoscenza della storia di questa città, della storia del Papato, per sapere che gli Orsini, nel bene e nel male, hanno lasciato a Roma una traccia indelebile… la nostra presenza è incisa nelle pietre, oltre che nella memoria degli storici. Quanti romani, piccoli e grandi, si sono dati appuntamento nei secoli dicendo: "Ci vediamo a Monte Savello"? Ebbene, Monte Savello era casa nostra, il cuore dell'Urbe degli Orsini. Lei conosce il titolo originale della "Guida" di cui stiamo parlando, nell'edizione in lingua inglese? Recita: "The Families who made Rome". Capito?, le famiglie che fecero Roma. Credo che sotto questo titolo, i Figli dell'Orsa, così ci chiamavamo, abbiano diritto a un posto di prima fila». Insomma, Roma, l'avete «fatta» sul serio? «Certo, anche materialmente. Non si può dimenticare che la nostra famiglia vanta tre romani pontefici: Celestino III, Niccolò III, Benedetto XIII. Per non parlare del Papa Medici, che essendo figlio di Clarice Orsini, dobbiamo considerare nostro per metà. Quanto a Celestino III, che regnò dal 1191 al 1198, la sua traccia concreta è sbiadita coi secoli, ma già Niccolò III, il celeberrimo "nepotista", che Dante precipita all'Inferno coi simoniaci, in tre anni di pontificato ne fece di cotte e di crude, dentro e fuori Roma. Di Benedetto XIII, Pier Francesco Orsini, un sant'uomo, basterà che rammenti che sotto di lui, nel 1725, venne inaugurata la Scalinata di piazza di Spagna, che i nostri amici anglosassoni chiamano Spanish Steps. Roma l'abbiamo fatta, eccome. Per questo, l'abbiamo anche ricostruita. E, soprattutto, riconsegnata al Papa, dopo il terribile Sacco del 1527. E Lepanto? Senza il determinante contributo finanziario di Casa Orsini, non so come sarebbe finita quella gloriosa impresa della Cristianità. Come vede, a Roma ci siamo sempre stati. E ai massimi livelli». Riconosca, don Domenico, che il professor Majanlhati si limita a dire, con un certo garbo, che ultimamente la vostra famiglia ha «perso lo smalto». Il che è innegabile. «Innegabile, perché? Tutto sta a capirci intorno al termine "smalto". Se lo smalto è rappresentato dai palazzi, e solo dai palazzi, be', ve la posso anche passare. È vero, la nostra famiglia oggi non possiede più, a cominciare dalla dimora del Teatro di Marcello, i suoi storici edifici. Saremmo per questo dei "decaduti". No, noi Orsini siamo dei "sopravvissuti", nel senso che possiamo perdere i beni immobili, ma la continuità della stirpe, in linea diretta, quella non l'abbiamo mai perduta. È una peculiarità dei Figli dell'Orsa: sopravvivono sempre, senza andare a cercare la continuità nelle alliances». Sopravvivete, dunque, nel sangue, nel nome e in che altro? «E nei beni, per così dire, mobili. La Famiglia possiede un patrimonio azionario in società celeberrime; siede nei boards di grandi multinazionali. Voglio dire che gli Orsini, invece di vivere affittando appartamen