Una tragedia favorita dall'ambiguità della politica

L'atteggiamento dell'Occidente, delle sue classi politiche ed intellettuali fu davvero coerente con i suoi valori fondativi? Davvero l'Europa fece tutto il possibile per evitare la tragedia di quel popolo? Poteva la comunità internazionale esprimere in forme più dure la sua condanna? Esiste, in ultima analisi, una macchia oscura anche nella coscienza occidentale? Sono domande che esigono risposte anche da parte di chi non ha mai dovuto dubitare di essere stato dalla parte giusta, perché una memoria collettiva ricompone le lacerazioni solo quando è in grado di leggere nella propria coscienza quello che scorge nella coscienza altrui. Oggi possiamo dire che se c'è un lascito davvero importante che il novecento ha lasciato alle nostre coscienze individuali e collettive è costituito proprio dalla consapevolezza che nella difesa della libertà non possiamo mai abbassare la guardia, non possiamo mai considerare la sua difesa come una battaglia da non combattere in nome di chissà quale convenienza. Allora se questa va considerata come una, seppure elementare, verità anche per l'Occidente quella fu vera tragedia, politica e culturale. Fu tragedia politica perché l'Europa libera seppure non ancora soggetto in grado di esprimere una politica autonoma, ancora alle prese con la ricostruzione post bellica e con i sogni "imperiali" di qualche suo Stato, non fece mai sentire e pesare la propria voce e la propria influenza, anche materiale, nel sostegno agli insorti. Sono stati ripubblicati in questi giorni di memoria e di rievocazione, gli appelli che la radio libera ungherese non ha mai cessato di lanciare ai fratelli Europei, nei giorni della speranza e nei giorni della repressione. Quelle voci condannano anche quell'Occidente che non volle reagire, che in nome della propria sicurezza lasciò che quella tragedia si compisse. Complici se non materiali quantomeno morali di quella tragedia ce ne furono anche nel campo della libertà e oggi non potremmo rendere omaggio ai martiri se non partissimo da questa consapevolezza. Quell'Occidente lasciò soli quei popoli, allora e quando su di essi calò la normalizzazione comunista, lasciando alla sola Chiesa il compito ed il ruolo di testimonianza di libertà. È giusto ricordare le migliaia di morti nelle strade ma è anche doveroso non spezzare il filo della memoria omettendo di ricordare i caduti silenziosi degli anni che seguirono, che pagarono senza clamore per continuare a sperare o anche solo per non smettere di credere. Fu tragedia culturale perché è da allora che è nata, oltre che la cattiva coscienza, anche quella odiosa forma di debolezza culturale, quel complesso d'inferiorità dell'Occidente che rende più difficile misurarsi con i nemici della libertà se dubbiosi, quando non addirittura privati della consapevolezza della propria identità. Oggi misuriamo quanto sia difficile il confronto con chi ha costruito in modo forte, orgoglioso, e non necessariamente in forma polemica, la propria identità culturale e religiosa - come il mondo islamico - perché siamo afflitti ancora da quel male morale che è la scarsa consapevolezza di sé, delle proprie ragioni e dei propri fondamenti. Questa idea che solo un'identità debole dal punto di vista culturale, solo la scarsa consapevolezza dei propri fondamenti possa permettere di fronteggiare il tuo nemico irriducibile data da allora, è l'idea che l'identità debole di un'Europa che sembrava quasi dover scontare il peccato originale di essere stata culla dei totalitarismi, poteva solo consentire alle sue classi dirigenti, comprese quelle dei paesi che pure erano stati culla della libertà, di fare da cuscinetto tra i due blocchi. Un'idea debole di sè portava l'Europa non solo a teorizzare, ma addirittura ad organizzare la propria subalter