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Un Papa solo nel labirinto

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Domani e martedì la fiction di Raiuno sulla figura di Albino Luciani

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io appartengo alla categoria dei poveri scriccioli che, nell'ultimo ramo dell'albero ecclesiale squittiscono e cercano di dire qualche pensiero su temi importanti». È una frase che il vescovo Albino Luciani scrive nel 1961 su «Il Messaggero di Sant'Antonio». Un pulpito popolare, insieme alla collaborazione al «Gazzettino di Venezia», riflessioni sparse che andranno a formare l'opera più nota: «Illustrissimi». Giovanni XXIII lo consacrerà vescovo di Vittorio Veneto superando il parere contrario di chi lo considerava di salute gracile e cagionevole. «Lei monsignore - gli dirà il Papa buono - viene dalla cattedra di teologia. Adesso però metta al primo posto l'attività pastorale. Si tenga basso e parli semplice». La consegna del papa bergamasco al figlio delle vallate bellunesi si trasformerà in una scelta di vita. «Se non riesco ad interessare la vecchietta di Canale d'Agordo che sta nell'ultimo banco, io parlo alle ragnatele». L'espressione è ricordata, ancora con emozione, da quello che è stato suo segretario personale, don Diego Lorenzi, orionino, dai primi mesi del 1976 alla morte da Papa avvenuta il 28 settembre 1978. «Il suo - spiega don Diego - era un esercizio di spoliazione anche lessicale. Era teso a formare i cuori. Per essere come Gesù Cristo evangelizzava parlando in parabole. Avete visto il pescatore, l'agricoltore, la pecora, il gregge. Non sempre è stato capito e, arrivato al soglio di Pietro - continua padre Lorenzi - dovette subire non dico lazzi e frizzi, però qualche incomprensione per uno stile espositivo disadorno, spoglio, quasi banale». Paolo VI nomina Luciani patriarca di Venezia e lo crea cardinale. A Venezia Montini gli getta sulle spalle la stola facendolo diventare tutto rosso. «Sì mi dispiace, ma accetto», è stato il leit motif della sua ascesa ecclesiastica. Dotto, ancorché disincantato e astuto. Santo e dotato di un evangelica furberia che lo hanno aiutato a vedere presto, in alto e lontano, sia persone che avvenimenti. Nel luglio 1977 a Coimbra, in Portogallo, celebra una messa nel cortile delle Carmelitane. Poi varca il portone della clausura e si intrattiene due ore con suor Lucia, l'ultima veggente di Fatima. «Non chiesi nulla di quell'incontro, perché il patriarca era molto riservato - commenta don Diego Lorenzi - Ricordo solo che nel febbraio del 1978 a Canale d'Agordo, il fratello Eduardo nota uno strano e intenso pallore sul volto del cardinale. "Sto pensando - gli rivela - a quello che mi ha detto suor Lucia a Coimbra l'estate scorsa"». Quale rivelazione? Secondo alcuni suor Lucia avrebbe predetto il suo futuro da pontefice, avrebbe intuito la sofferenza di un uomo che, diventato Papa, si trovò prigioniero in quello che definì, con una lettera a padre Bartolomeo Sorge di «Civiltà Cattolica», un autentico "labirinto di Cnosso". Dissigillano l'appartamento pontificio e non c'è nulla nel frigo. Suor Vincenza: «Santo Padre, non xe niente da mangiar». Rimediano con una minestra, formaggio e frutta. Il 29 agosto Papa Luciani chiede a padre John Magee, già segretario di Paolo VI, di restare con lui. «Il Papa - ricostruisce Magee, ora vescovo in Irlanda - andava a letto alle 21,30 con questa frase di saluto "A domani, se Dio vuole". Si alzava alle 4,30 e mentre si faceva la barba sentiva una cassetta di un corso di inglese. Cominciò a dormire, senza che nessuno lo avvertisse, nel letto di Papa Giovanni, considerato invece una reliquia da Papa Paolo VI che, per tutto il suo pontificato preferì un modesto lettino di ferro accanto alla finestra». In cappella legge brani dell'Imitazione di Cristo e li declama ad alta voce. «Per tre volte - continua Magee con voce rotta dalla commozione - mi pregò di dire io la messa in inglese e il Papa, il Vicario di Cristo, mi fece da chierichetto». Con Luciani le porte dell'appartamento papale si spalancano, per la prima volta, a persone che non fanno parte del suo strettissimo entourage. Luciani fa in tempo a incontrare i giornalisti, ad inaugur

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