La scelta del critico/2
ANCORA un bel film di Francesca Comencini. il precedente, «Mi piace lavorare», si stringeva attorno a una donna oppressa nel suo ambiente di lavoro da quella forma subdola di persecuzione che va sotto il nome di «mobbing». Adesso, anziché un solo personaggio al centro, ce ne sono una decina in cifre decisamente corali, costruite però anche questa volta attorno a un unico tema, il denaro e quel suo strapotere che nella società italiana di oggi ha infranto tutte le regole dell'onestà e del buon vivere. Senza tuttavia privilegiare posizioni esclusivamente manichee ma cercando di vedere, nei cosiddetti «cattivi», se non le ragioni, almeno certi risvolti umani da potersi prendere in considerazione. Nel coro, si fanno più avanti degli altri due personaggi, uno, sul versante delle figure negative, è un banchiere, Ugo, che per far soldi non guarda in faccia a niente e a nessuno, solo votato alla corruzione, la propria e l'altrui. Però ha una moglie, affranta dalla morte di un figlio bambino, e lui, che con il denaro pensa di poter tutto, medita di «compragliene» uno, da una extracomunitaria incinta, uccisa da un balordo. L'altro personaggio, dalla parte delle figure positive, è una donna, Rita, con funzioni dirigenziali nella Guardia di Finanza, decisa con ogni mezzo a metter fine ai loschi traffici di Ugo anche se afflitta, nel privato, da forti contrasti sentimentali (un amore contraddittorio con un ragazzo più giovane di lei). Attorno ai due, gli altri personaggi i cui casi, sempre all'insegna del denaro con cui si crede di risolvere tutto, strettamente si intrecciano fra di loro. Fino ad una conclusione in cui, a molti in mezzo, non resterà che tirare somme negative. Un racconto a incastro. Con un'episodica che, con ritmi sempre serrati, alterna rapidissima le vicende di tutti. Ora in climi tesi, ora con emozioni delicate, ora con increspature aspramente drammatiche. Il tutto all'insegna di una struttura narrativa e poi, di conseguenza, di uno stile, che si vieta quasi sempre l'esplicito, privileggiando, specie nel finale, quasi soltanto l'alluso. Con l'accortezza di chiamare i personaggi dal coro al primo piano evitando le spiegazioni dirette, con i casi di ciascuno pur chiariti, tenuti volutamente in sospeso. Con efficacia intensissima. Completano questi meriti, sia di racconto, sia di rappresentazione, la splendida fotografia di Luca Bigazzi che immerge la cornice milanese cui l'azione si affida in luci livide e gelide, specie se notturno e in esterni, e delle musiche in cui il moderno (la Banda Osiris) si accompagna con caldi effetti emotivi alla lirica dell'Ottocento italiano. Nei panni di Ugo, Luca Zingaretti, duro ma volutamente anche fragile, in quelli di Rita, Valeria Golino, decisa ma anche lacerata. Con sensibilità.