Millo, l'attore che piaceva a Eduardo e Strehler

Eduardo De Filippo aveva scritto per lui «De Pretore Vincenzo», la commedia con cui si inaugurò a Roma nel 1957 il Teatro dei Servi con l'allora esordiente Valeria Moriconi, per poi chiamarlo ancora nel 1959 a interpretare come protagonista «Pulcinella che va in cerca della sua fortuna per Napoli» di Altavilla con Sportelli e D'Alessio in una produzione del San Ferdinando di Napoli e del Piccolo Teatro di Milano che superò le cento recite e arrivò anche a Parigi. Schivo, sobrio e schietto, totalmente alieno dal narcisismo e dalla megalomania che spesso affligge gli attori, Millo si chiamava in realtà Achille Scognamiglio ed era nato a Napoli nel 1922. Formatosi con Wanda Capodaglio aveva trovato ben presto nella capitale il luogo della sua realizzazione professionale, debuttando nel 1945 con la compagnia De Sica-Gioi-Stoppa in «Catene» di Martin, diretto dal grande regista Ettore Giannini. Assistente alla regia di Luchino Visconti, collabora dal 1950 con i fratelli Ninchi e Filippo Scelzo e nel 1954 è invitato da Strehler a recitare nei panni di Florindo nel celebre «Arlecchino servitore di due padroni». Il felice incontro con Eduardo, che era solito ricordare con devota ammirazione e autentico rispetto artistico, gli aveva regalato una notorietà a cui seguirono negli anni Sessanta e Settanta importanti occasioni pirandelliane come il «Liolà» diretto da Vittorio De Sica e «L'uomo, la bestia, la virtù» diretto da Paolo Giuranna. Non dimenticò mai il prezioso insegnamento ricevuto da Eduardo che l'aveva guidato nella scoperta delle reazioni del pubblico. «Ho imparato da lui a parlare con il corpo attraverso il pensiero» amava ripetere, citando con piacere aneddoti ed episodi sfiziosi sui loro rapporti dietro le quinte. Volto di riferimento della migliore prosa televisiva, venne impegnato diffusamente in caratterizzazioni multiformi che spaziavano dall'inguaribile seduttore al "cattivo" e si possono citare titoli come «Questa mia donna», «L'esca» e «Il borghese gentiluomo». Per quello che concerne gli sceneggiati tratti da opere narrative partecipò a «L'alfiere», «Il sogno dello zio», «I miserabili» e soprattutto a «Il marchese di Roccaverdina» considerato a buon diritto la sua migliore prova per il pubblico domestico. La scuola partenopea fu una risorsa e mai un limite nella carriera di Millo che infatti nel 1975 venne richiamato al Piccolo di Milano per «Il campiello» goldoniano nella mitica regia di Strehler. Il suo cavallo di battaglia, replicato per diciotto anni dal 1970, resta comunque «Io, Raffaele Viviani», originale e fortunata incursione in un repertorio meritevole di recupero.