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Wojtyla e il film sulle religioni bocciato dalla Rai

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Eppure tra le tante cose che ha voluto ce n'è una, piccola in verità, che proprio non gli è riuscito di vedere: si tratta della serie tv che doveva raccontare, in modo semplice ed esauriente, la storia delle religioni. Non solo della religione cattolica o del cristianesimo, ma proprio di tutte le religioni del mondo. La serie, che sarebbe dovuta andare in onda nel 2000, tra i tanti eventi mediatici preparati per il Giubileo, doveva essere trasmessa dalla Rai. Alla sua realizzazione dovevano contribuire i massimi esperti mondiali e papa Wojtyla, per caldeggiare la realizzazione di questo importante contributo culturale, aveva lasciato trasparire la sua disponibilità per un'intervista a chiusura della serie. Il sogno di ogni giornalista: un'intervista con il papa. E che si può volere di più? Non solo, il progetto, ambizioso e grandioso, aveva interessato numerosi sponsor, soprattutto fondazioni e banche, e i documentari potevano essere facilmente collocati sul mercato internazionale dei media. In breve: la realizzazione prefigurava più guadagni che costi, al di là del suo valore culturale. Eppure... alla fine non se ne è fatto nulla e «La grande storia delle religioni» è rimasto solo un progetto. A raccontare la storia sfortunata ed avventurosa della serie è Lorenzo Gulli: ai tempi vicedirettore della Struttura tematica per i programmi culturali della Rai. Tutto cominciò a metà degli anni Novanta quando un religioso, energico e lungimirante, monsignor Gaetano Bonicelli, ai tempi vescovo di Albano, oggi arcivescovo emerito di Siena, ebbe l'idea, suggerita da Wojtyla, di promuovere un programma televisivo per favorire l'ecumenismo universale. Con questo termine si vuole intendere un atteggiamento spirituale di disponibilità al dialogo tra i fedeli di tutte le religioni. «Giovanni Paolo II aveva grande stima e affetto per monsignor Bonicelli - racconta Gulli, giornalista vaticanista ed apprezzato scrittore - Papa Wojtyla chiamava Bonicelli "il mio vescovo", perché Castel Gandolfo, dove si trova la residenza estiva del Santo Padre, ricade sotto la giurisdizione vescovile di Albano». «Durante i loro frequenti e lunghi incontri - aggiunge - Giovanni Paolo II caldeggiò più volte la realizzazione di questo strumento mediatico e Bonicelli si mise in moto». La sede, ovvia e ideale, per promuovere la serie era la Rai dove il progetto fu accolto con notevole interesse. Si partì ipotizzando un film-documentario lunghissimo, da dividere in 20 puntate. Poi si optò per una realizzazione più maneggevole: 12 puntate da 57 minuti che comunque fornissero un panorama il più completo possibile sulle religioni di tutto il mondo. Un viaggio completo senza pregiudizi nella spiritualità dell'uomo. Il piano dell'opera prevedeva una serie di filmati che avrebbero illustrato la nascita e l'evoluzione delle varie confessioni. Si partiva dalla superstizione degli uomini primitivi passando poi ai culti tribali delle religioni politeiste. Particolare attenzione, con ben tre puntate, era riservata alle religioni asiatiche: brahmanesimo, induismo, confucianesimo. Una puntata per il giudaesimo e l'islamismo; tre puntate per l'universo cristiano: cattolicesimo, chiese orientali, i protestanti. Non mancava un'ampia panoramica sui culti precolombiani: Maya, Aztechi Incas. «Ai filmati su riti e cerimonie - aggiunge Gulli - si sarebbero alternati momenti di discussione con studiosi e sacerdoti. Un progetto bellissimo. Ma tutto finì in una bolla di sapone». Del programma che tanto voleva Giovanni Paolo II oggi rimane ben poco: uno strascico giudiziario tra Gulli e la Rai sugli effettivi poteri del funzionario e sul suo mandato a rappresentare l'azienda. Eppure «La grande storia delle religioni» resta un progetto affascinate e grandioso, forse troppo, del quale, in epoca di trash tv, si sente oggi più bisogno di ieri. Ant. Ang.

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