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La scelta del critico

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L'OPERA maggiore di Paolo Virzì. Con una carriera, fino ad oggi, di tutto rispetto, dall'esordio con «Ferie d'agosto» a «Ovosodo», premiato a Venezia, al felicissimo e furbo «My Name is Tanino». Oggi, con intelligenza, abilità e coraggio, affronta il costume e la storia prendendo di petto addirittura Napoleone. Senza però dimenticare il quotidiano di cronaca grazie a un testo, scritto per lui da Scarpelli padre e figlio, che pone a confronto l'Imperatore esiliato all'Elba con un giovane isolano, Martino, che, pur votato agli ideali della Rivoluzione e odiando l'altro perché li ha traditi, ha accettato di fargli da scrivano con la segreta intenzione, comunque, di ucciderlo. Il film, al suo centro, ha proprio questo. Da una parte Napoleone che, in vesti quasi solo domestiche, si atteggia quando a Re quando a esiliato in pantofole, dall'altra il giovane e ardente rivoluzionario con il suo odio ben represso smorzato a tratti dai modi ancora affascinanti con cui il suo «nemico» lo tratta. Mentre attorno si evolvono casi privati e casi pubblici, in un'Elba 1814 dedita alla pesca e alla mercatura, anche con varie vicende amorose di sfondo sia relative a Martino sia ad altri al suo fianco. Il racconto, che molto alla lontana si è fatto ispirare da un libro metà romanzo metà storia, procede con equilibrio perfetto fra tutte le sue parti. Quella in primissimo piano, con l'incontro-scontro fra lo scrivano e l'illustre esiliato, quelle, in parallelo, di altri elbani, con i loro traffici, i loro problemi sentimentali e, alcuni, con i loro risentimenti politici. Virzì, in mezzo, si muove con un senso vivo del cinema, per un verso tenendo fortemente l'accento sui due protagonisti, un Napoleone che sembra accattivante, un Martino che, per un momento, rischia di farsene conquistare, per un altro, con sicuro equilibrio narrativo e stilistico, evocando attorno un coro realistico di figure mai veramente di secondo piano scolpite ciascuna con i suoi colori e i suoi tratti, senza inciampi né vuoti. Con il sussidio di immagini cui la fotografia di Alessandro Pesci, le scenografie di Francesco Frigori e costumi di Maurizio Millenotti conferiscono valori figurativi con il gusto delle stampe d'epoca senza tradir mai però il sapore dell'autentico. Completa i meriti, l'interpretazione. Napoleone è un Daniel Auteuil volutamente dimesso che parla francese e italiano, Martino è Elio Germano, reduce da «Romanzo Criminale». Una dama è Monica Bellucci, quasi tutti gli altri (Mastandrea, Ceccherini, Sabrina Impacciatore) recitano con ghiotte cadenze toscane, mentre dal principio alla fine le musiche di Beethoven (soprattutto l'Eroica e la Nona) si adeguano al dramma come se scritte solo per quello. L'eternità dell'arte vera.

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