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«La televisione trash ci corrode l'anima»

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A tutto. «Beh, il diavolo che a volte si agita nel mio cervello mi tenta...». Prego. «Vorrei guardare dentro la telecamera e dire: "tu che sei dall'altra parte, ma lo sai che non devi credere a nulla di quello che esce da questa scatola? Lo sai che tutti questo è fatto per l'audience?". Mi piacerebbe fissare negli occhi quelli del pubblico, uno a uno e azzardare: "svegliati, alzati e cammina, leggi, capisci". Perché quasi tutti i telespettatori hanno rinunciato ad esercitare il diritto di critica verso quello che succede qui dentro, al flusso ininterrotto della roba che esce dallo schermo. Sono storditi, ipnotizzati. La tv dopo un po' rimbambisce. E a farne le spese sono quelli meno attrezzati culturalmente, che non riescono a prendere le distanze. È la stessa fregatura di quando non funziona la scuola pubblica: non ci rimettono i figli dei ceti più alti, che possono andare negli istituti migliori. Ma quelli che non possono scegliere». Però. Complimenti, signora Carlucci. E come si fa a dare un giro di vite alla tv dei reality-trash dove si scannano per un pugno di riso o per fare i mandriani o i saltimbanchi? Come si torna a una programmazione vagamente più etica? «È come quando mangi troppo peperoncino: dopo non riesci ad assaggiare una mousse delicata. Agli spettatori si è bruciata la bocca, come fai ad asciugare i sapori? Intanto, a ottobre, i network hanno già sparato molte cartucce, a danno dei prodotti. Si è creata la saturazione. Insomma, ci vorrebbe un'idea così dirompente di intrattenimento che d'un balzo rendesse obsoleta tutta questa tv di pugni allo stomaco. Non è più neppure possibile riproporre quei varietà di stampo teatrale, con il balletto e l'ospite. La bellissima tv di Fiorello non può fare scuola, perché si regge solo sul suo straordinario talento: nessuno può emularla». E allora? Condannati ai circhi e ai naufragi? «Il problema è che la maggioranza dei telespettatori non vuole pensare, ma avvertire un brivido. Per questo funzionano sempre i film e le fiction: ci si abbandona alla storia, e via». Il ballo, invece... «È un format di cui andiamo fieri, ma è monotematico, non lo puoi applicare ad altri scenari né riproporre all'infinito. La danza a due è una metafora della vita, ci puoi leggere dentro i meccanismi della seduzione, delle problematiche di coppia, della difficoltà di capirsi anche quando ci si parla molto. C'è dentro l'archetipo del rapporto uomo-donna: uno guida e l'altro si fa portare. Con la divertente complicazione che con la parità dei sessi alcune signore resistono ai loro cavalieri». Però si capisce subito quando due partner non si sopportano. Come Chiara Boni e il suo maestro. O quell'altro attore belloccio con... «È questione di pelle. Non puoi ballare con qualcuno che non sopporti. Ma nascono anche situazioni in cui i due si attraggono talmente che per sopravvivere decidono di respingersi. Certo, a furia di stare appiccicati qualcosa succede. Non sai mai dove finisce l'intreccio del ballo e dove comincia quello della vita. Come accade agli attori, che quando girano i film si innamorano sempre del partner». A proposito di estremi, che dire della signorina Gregoraci che in uno spot "investe" sorridendo sulla propria disavventura? L'Osservatorio dei minori chiede di non mandarlo in onda. «Sarebbe interessante chiedere ai pubblicitari come abbiano fatto ad abbattere un'altra barriera. La tv non è un modello di purezza, ma loro sono sempre un passo avanti, perché devono vendere. Il fenomeno inquietante è che diventa prodotto non ciò che è moralmente accettabile, ma quello che fa parlare di sé. Il resto non esiste». Se sua figlia avesse voluto far la velina? «Impossibile. Lavora alla Goldman Sachs. Lei e suo fratello hanno visto cosa c'è dietro il lavoro nel mondo dello spettacolo: un'enorme sofferenza psicologica. Non vieni giudicata per il tuo lavoro, ti mettono continuamente in discussione come person

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