I progetti del presidente dell'Auditorium «I maestri a confronto coi giovani. Per crescere»
Ma dentro i limiti umani, è persona colta, attiva, perspicace, che si occupa di cultura dalla sede dell'Auditorium romano. Parecchie cose sono state fatte, dice, ma altre sono in programma, e di non poco rilievo: per esempio la gran festa del cinema che attirerà a Roma i più grandi registi e attori e intellettuali del circuito occidentale. Ma non solo: quest'anno ci saranno pure i film di quel misterioso universo che è la Cina. Chi conosce Bettini sa che ama la buona cucina e non è magro né segaligno, come quel tale Crasso di cui Cesare - nella tragedia shakespeariana - parla con sospetto. Come tutti quelli della sua generazione, ha più celluloide che sangue nelle vene. Insomma, è un ex ragazzo cresciuto in quelle università notturne che erano i Cine-club. È lì che si è innamorato del "Posto delle fragole" di Ingmar Bergman; sempre lì si è sorbito la indigesta "Corazzata Potemkin" col dibattito incorporato di Guido Aristarco. A dispetto di ciò, è rimasta persona equilibrata e gentile, aperta a ogni nuovo stimolo. La sola cosa che non tollera è l'intolleranza intellettuale; il fanatismo politico-culturale-religioso. Sembrerebbe una cosa ovvia, vista da Londra o da New York; ma nel clima politico italiano è una sfida rivoluzionaria. Sarà per via del nostro lungo e scivoloso passato: fatto sì è che l'Italia è ancora terra di steccati, di snobismi, in una parola di faziosità intrecciate. Ci sono libri che si possono leggere, altri no. Vittorini va ancora bene; ma fino a quando? Invece il grande Leo Longanesi è ancora tenuto in quarantena, a mezzo secolo dalla sua morte: a sinistra non gli hanno mai perdonato il genio. E ancora si legano al dito quella sua frase 'blasfema': «Se uno rimane comunista dopo i trent'anni, significa che ha avuto seri problemi con la mamma da piccolo». Per fortuna Bettini è oggi un ex comunista che ha abiurato i dogmi "made in Urss" e ha una posizione liberal come quella adottata da molti intellettuali di scuola marxista. Per dare un'idea di cosa fosse un tempo il comunismo di via Botteghe Oscure, ho descritto a Bettini un mio incontro con Palmiro Togliatti, detto Il Migliore. Avevo vent'anni e studiato nella liberalissima Londra. Così provai a tenere con il leader del Pci un tono leggero sulla rigidità di Stalin, Zdanov and company. Ma Togliatti non gradì l'ironia, divenne una marmorea statua di sé stesso e mi congedò. Dopo di che scrisse una lettera al direttore de Il Tempo lamentandosi della mia 'mancanza di rispetto'. L'aneddoto fa sorridere il post-ex-comunista Bettini, che commenta: «Ma povero Togliatti, si metta nei suoi panni: aveva vissuto un decennio in quel luogo ameno che fu l'Urss di Stalin. Era ancora pieno di tossine». Ne prendo atto. Nel medesimo tempo gli faccio notare che fra i Ds, legittimi eredi del Pci, l'ironia e la satira sono ancora considerate dei "vizi borghesi". Bettini un po' ammette e un po' contesta: «Ma sono trascurabili scorie, che ormai ci lasciamo alle spalle...». Parliamo anche del cinema italiano, della comicità greve di certi nostri film. E chiedo perché in italiano non c'è il sinonimo della parola humour. Humour, come tutti sanno, è la capacità di ridere di noi stessi. Bettini ipotizza: «Forse non abbiamo il sinonimo di Humour perché lo humour è un'erba che cresce su un terreno ben coltivato, in un paese di solida tradizione. Noi siamo vecchi geneticamente, anche se giovani culturalmente». Come Bettini, credo anch'io che il buon cinema sia la migliore palestra per la maturazione dei giovani. E perciò gli chiedo se avrà spazio nel programma dell'Auditorium. «Ne avrà, e molto. Proietteremo i migliori film del momento e alle prime visioni saranno invitati i maestri, come Spike Lee e i fratelli Coen." Questo è dunque Goffredo Bettini, che in un festoso articolo Barbara Palombelli definisce 'Imperatore di Roma potentona'. Un percorso che va dalle feste goliardiche della Fgci al posto di capolista Ds al Senato. Ma il