L'analisi
I romanzieri tenebrosi imparino dalle novelle tv
Anche se ho deciso io di far morire l'ispettore Mauro Belli, non nascondo di essermi commosso. Così Pietro Valsecchi, produttore della fortunata serie di Canale 5, commenta l'uccisione dell' "eroe quotidiano" impersonato da Ricky Memphis. Mentre i cosiddetti scrittori coltivati dalle case editrici e dai loro uffici stampa si lamentano che l'Italia è diventata, in fondo, proprio quella che loro descrivono nei loro romanzi "cannibali" o post - cannibali o scritti - per- diventare un film, chi invece i film li fa per la tv e rischia il giudizio del grande pubblico, dice di aver trovato una chiave per raccontare con "onestà intellettuale, senza retorica ma con profondità" (parola di Valsecchi) la realtà quotidiana. C'è qualcosa che non va, dunque, se gli scrittori di narrativa si sentono fuori posto e i produttori di fiction invece raggiungono grandi risultati. Al di là della differenza di strumento, il lamento degli scrittori può nascondere una sorta di incapacità a toccare le vene vive della quotidianità italiana. Non si tratta solo della facile distinzione tra una fiction tv consolatoria e superficiale e un'arte inquietante e profonda. Gli storici della letteratura potrebbero forse vedere una conferma del fatto che l'Italia più che una terra di romanzi è stata una terra di novelle, e di queste la tv ha raccolto l'eredità. Ma, da poeta, credo che ci sia anche una questione più profonda. Che consegue a una lunga tradizione che è stata chiamata "del tradimento dei chierici". Coloro che si sono autodefiniti intellettuali - nei loro circoli, sui giornali in cui parlano di loro e tra loro - hanno forse tradito il compito che avevano. Di lavorare per il bene del popolo, e non per lo sghiribizzo personale. Hanno guardato più a ciò che conveniva loro e alla loro fama, piuttosto che a quanto può generare senso di positività e di coesione nel popolo a cui appartengono. Se ne può discutere?