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Nuovomondo sogno da Oscar

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Il film di Crialese sugli emigranti in lizza per Hollywood

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C'era l'imbarazzo della scelta perché anche questa volta la stagione cinematografica italiana era delle più propizie, con un'ampia messe di film tutti di qualità sicure. «Nuovomondo», tuttavia, da una giuria internazionale, quella della Mostra di Venezia n. 63, aveva già raccolto consensi così lusinghieri da vedersi assegnato uno dei premi maggiori in palio, il Leone d'argento. In secondo luogo, pur senza fare del contenutismo, il suo argomento — l'emigrazione italiana in America agli inizi dell'altro secolo — era certamente di quelli che meglio potevano suscitare l'interesse della giuria dell'Accademia di Hollywood, arrivata ormai a superare i seimila componenti in mezzo ai quali sappiamo che non manca una foltissima rappresentanza di italo-americani per la maggior parte discendenti di quegli emigranti portati sullo schermo da Crialese. Senza farne i nomi (pur largamente noti a quanti amano il cinema americano), basterebbe aver partecipato anche una sola volta ad una di quelle feste che si organizzano a New York in onore dei grandi americani di origini italiane per sapere quanto ampie, importanti e profonde siano le radici che l'emigrazione italiana del primo Novecento ha da oltre un secolo nella società d'oltreoceano e, spesso, ai livelli più meritevoli di stima. Non dico che la visione del film di Crialese possa diventare una sorta di emozione collettiva degli affetti, è una realtà, però, che i tanti votanti dell'Accademia di Hollywood vi ritroveranno le sorgenti autentiche dei ricordi dei loro genitori e dei loro nonni. Specie quando il film con oggettività e verità, vedranno che, oltre ad esporre le origini dei loro predecessori nelle loro terre e i fortunosi viaggi cui si sottoponevano per cercare una vita migliore, dirà loro dell'accoglienza ricevuta all'arrivo nel Nuovo Mondo in quella "porta dell'America" che era Ellis Island, in edifici oggi eretti addirittura a museo, con rituali in apparenza anche rigidi ma, in definitiva, giusti e opportuni. E tutto questo — e qui è giusto affrontare il discorso della qualità — proposto con un linguaggio cinematografico di fortissimo impatto sugli animi e sui gusti. Quel realismo aspro e quasi crudele nella esposizione delle condizioni e delle cornici che gli emigranti si lasciavano alle spalle e, in parallelo, quell'afflato lirico che, in linea con l'equilibrio sempre raggiunto da Crialese quando la cronaca l'accompagna alla visionarietà, riesce a vestire l'azione di suggestioni allegoriche in più momenti coinvolgenti. Grazie a tutti questi elementi è possibile augurarsi che, pur fra concorrenti di valore accertato, il nostro film riesca ad arrivare al traguardo che questa sua prima indicazione gli auspica. È dai tempi della «Vita è bella» di Roberto Benigni che questo non accade, anche se, appena l'altr'anno, alla gara per l'Oscar del miglior film straniero si era fatto partecipare un film di qualità straordinarie, «La bestia nel cuore» di Cristina Comencini. Il 2007, forse, ci porterà questa vittoria. Anche perché sarà un anno, come già ci fa intendere la rosa dei film italiani della prossima stagione in cui vedremo cimentarsi e imporsi i nostri autori migliori, con un largo ventaglio di proposte intelligenti e spesso anche nuove. A dimostrazione di quanto io continuo a dire e a scrivere: che il nostro cinema sta ritrovando tutto lo slancio e lo smalto del suo passato più glorioso.

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