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Un libro che si immerge in un meridione carico di odi e passioni estreme Dove i bambini giocavano con le foto degli attori e il Duce pareva un eroe

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Per contro mi stimolano le storie che raccontano di case, strade, città, caffé, e ti danno l'illusione di viverci dentro, come se ci fossi vissuto insieme all'autore. E questo avviene in un "Gioco malandrino di finestre e balconi" (Avagliano editore, 12 euro), dove Luigi Mazzella ci immerge in un meridione che trasuda odi e passioni estreme, gelosie e innamoramenti feroci. Gli amanti non guardano le loro compagne, ma le trafiggono con sguardi fiammeggianti. Insomma, l'umanità che in queste pagine brulica e spasima d'amore, parla con l'accento carico di Vietri, di Napoli o di Eboli. Quella stessa Eboli "dove Cristo si è fermato", secondo il bel libro di Carlo Levi. O della Salerno che offre lo scenario alla narrazione. Anche il paesaggio in cui la vicenda si dipana ha colori vivi e forti, ed è esposto ai capricci di un clima violento. Ecco uno squarcio di prosa che pare strappato a un film di Hitchcock: "La villa appariva devastata, un fulmine l'aveva attraversata entrando dalla finestra di un bagno e bruciando tutto quello che aveva trovato sul suo percorso. Un quadro con la veduta del Palazzo Ducale a Venezia, una crosta di un pittore anonimo che amava Canaletto, era orribilmente squarciato...". Il romanzo è ambientato nei primi decenni del secolo scorso, e vi si incontrano personaggi sfiziosi, come l'architetto che restaura e trasforma in singolar dimora una torre saracena chiamata la "Crestarella". In quel tempo, che pare lontanissimo, le donne vergini e nubili sfogano le loro vampate isteriche con le "buone letture" e l'assidua frequentazione delle opere liriche. C'è da restare basiti. A loro volta gli anziani gentiluomini, ancorché grassocci e poco seducenti, chiedono in sposa donne assai più giovani, promettendo in cambio una serena e saggia convivenza. Corrono gli anni in cui i bambini e gli adolescenti, alla morte improvvisa del padre o della madre, vengono spediti in collegio dove languiscono fino alla maggiore età, maturando un odio viscerale per gli adulti, gli istituti e l'universo mondo. "Un gioco malandrino" è per certi aspetti un romanzo di formazione. L'io narrante aveva circa dieci anni durante il fascismo. "I miei interessi" racconta, "si indirizzavano verso le uniformi e gli addobbi paramilitari per le adunate del sabato fascista. Collezionavamo le foto del Duce (impressionante quella in sella a un cavallo bianco con la spada dell'Islam); e mettevamo in fila sul pavimento i soldatini e le crocerossine di piombo... Incollavamo sugli album le figurine disegnate da Nizza e Morbeli (mitica quella del Feroce Saladino), raccoglievamo i numeri di Calcio Illustrato e di Cine Illustrato con le foto color seppia di Assia Noris, Maria Denis, Alida Valli, Amedeo Nazzari, Fosco Giachetti e Gino Cervi. Eravamo accaniti lettori dei giornalini della Nerbini di Firenze, che pubblicava le avventure di Cino e Franco, dell'Uomo Mascherato, di Mandrake e Lotar..." Fra le descrizioni più interessanti c'è quella di un "interno" di casa borghese: "Di una cosa, onestamente, non ho mai sentito parlare nei salotti che frequentavo: dell'opposizione al Duce. A differenza di tanti miei coetanei, non ho potuto raccontare di riunioni antifasciste cui avessero partecipato clandestinamente membri della mia famiglia o nostri amici e conoscenti. Non ho mai saputo di progetti sovversivi, né sospettato di vivere in un regime autoritario. Non ho mai udito, origliando alle porte di stanze dove si incontravano gli adulti, proclami rivoluzionari letti di nascosto e a voce bassa. Insomma, non sono in grado di ricordare nulla che avesse a che fare con la Resistenza". E ancora: "A scuola avevo invece appreso che Il Duce aveva salvato la Nazione dal caos; che i litigi tra i partiti, prima dell'avvento di Mussolini, avevano impedito alla Patria di progredire e di essere rispettata all'Estero... Solo la guerra aveva suscitato i primi malcontenti e le prime sommesse, critiche al regime fascista... Tutto, però, era cambiato dopo il 25 luglio del 1943,

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