La necessità di individuare un nemico e la speranza frustrata dei grandi ideali
Certi dicono di aver visto delle torri bianche, oppure dicono che c'è un vulcano che fuma ed è là che vengono fuori le nebbie. Anche Ortiz, il capitano, garantisce di aver visto, saranno ormai cinque anni (...). Dove mai Drogo aveva visto quel mondo? C'era forse vissuto in sogno o l'aveva costruito leggendo un'antica fiaba?». L'immensa distesa bianca del Nord, la Fortezza Bastiani affacciata sul deserto, l'immobile tempo che inghiotte i giorni. E lui, il tenente Drogo, fermo ad aspettare l'ora della battaglia, l'arrivo dei Tartari. È un ossimoro l'attesa del domani, un «caos calmo» (Sandro Veronesi), un vento che si colma della stasi, una virgola di luce troppo scura in un orizzonte di nebbie come ansiose dello sguardo che le scruta. L'attesa è la sponda ignota di una solitudine che vuole rompere l'arrugginito schema della noia. Ed i Tartari del sogno sorgono, ma dal remoto fondo di un'esistenza, dall'abisso annidato negli archetipi. E prima d'essere il punto d'un approdo cercato sono un rimpianto cupo, come quello, ostinato, che risuscita dalle vecchie assi nelle stanze della desolata Fortezza. È un carcere quell'avamposto segnato dal destino, dove il coraggio e il dubbio sono la stessa faccia di un dilemma che non può morire, di una kafkiana partita con le simboliche insidie della sorte. Poiché è una leggenda «ciò che gli uomini amano immaginare sia accaduto nella storia» (Giuseppe Pontiggia): e il senso del mistero si dilata per il fatto che l'invisibile nemico non si materializza. E giunge per il protagonista del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati la decisione di abbandonare quel suo accanito attendere un'immagine mai vista. Una nuova pagina si unisce alle altre già concluse e assorbite nei «miracolosi presagi della natura». Una «porzione di vita» se ne va con il suo bagaglio di cenere. Ma l'uomo si sente straniero nella città della giovinezza dove, recuperando un passato senza favola, si riscopre più fragile e più inquieto. Tutto è fioco e opaco e non c'è musica capace di donare voci alle cose tacite nel loro rigido recinto senza incanti. Forse è più dolce attendere l'incerto che ritrovare una certezza antica tanto distante dal presente convulso, tanto povera di un altrove. Nella lastra di ghiaccio che seppellisce l'ieri si marmorizza l'"ostinata fatica" di tutto ciò che è svanito. Drogo ha tra le mani il ferrigno forziere delle voci che non sanno trovare le parole. Solo un tremito di ricordi sostiene l'esangue sua malinconia di fronte a un niente fragoroso di silenzi, buio di tante luci, vivo della sua morte. Una minaccia senza movimento molto diversa dall'incubo glorioso degli invisibili Tartari. Tornare indietro è occupare un universo altrui, dal momento che il proprio, assottigliato, si è ridotto a uno spazio ancora più indecifrabile di quello che sta davanti, inospitale e ostile, alla Fortezza sempre più cadente. Così l'uomo cammina tra due incognite. Un numero stonato nelle sequenze logiche di un illogico creato. Quel che di respiro resta è la rivincita che spinge ad abbracciare una sterminata attesa («guardare la linea che delimita l'orizzonte ed essere già là, nel punto che per molti è il confine»: Alfonso Gueli). Drogo è di nuovo sugli spalti, dentro la sua conchiglia di inganni, ad ascoltare la chiamata, perentoria e flebile, a riagguantare quella che impropriamente sembra la nostra vita ed invece è soltanto un ostaggio delle cose vestite di speranza, a penetrare nella scena vuota su cui aleggia il rumore di «angoscia, fuga nel tempo, minaccia oscura» rintracciabile nell'atto unico Piccola passeggiata e a ingaggiare una schermaglia stregata con la morte che sostiene anche i racconti dei Sette messaggeri. Non v'è alternativa a questo mondo: l'«avvenire, per quel che ci interessa, assomiglia al passato. Ti vogliono far paura con la guerra? Ma neppure la guerra è un'alternativa, ti spiegano che è semplicemente la morte» (Franco Fortini). La guerra nel Deserto è sospesa, avanza e non avvampa, è un annuncio di sgomento, la tenebra che spia e non comp