Enzo Jannacci: la mia vita surreale tra il pentagramma e il bisturi

È un'emozione che si ripete ormai da un po' di tempo. Il pubblico a volte canta insieme a me. È davvero commovente». E c'è anche suo figlio Paolo al pianoforte? «Ebbene sì. È una grande soddisfazione. Paolo, che piacere averlo in compagnia. Un piacere da artista e anche da padre. Non solo Paolo Iannacci al pianoforte, fisarmonica e arrangiamenti, mi lasci dire, direzione musicale, Daniele Moretto tromba e tricorno, Sergio Farina chitarra acustica, Ellade Bandini batteria e percussioni, Marco Ricci contrabbasso e violoncello. È proprio una bella squadra. Siamo tutti uguali ma diversi». Ma che cos'è per lei il teatro? «Il teatro è una fumisteria, come entrare in un film, un po' vero e un po' surreale». Jannacci lei si sente più poeta, più cantante, più attore? «Non so che cosa io sia. Mi piace lo spettacolo, mi piace cantare, mi piace esibirmi. Poeta, cantante, attore, è la mia vita. E la vita mi ha regalato grandi occasioni». Ma i ricordi sono qualcosa che abbiamo o qualcosa che abbiamo perduto? «I ricordi di un tempo forse possono aiutare anche a capire l'oggi». Si sente un po' surreale? «A volte lo dicono. Io mi sento Enzo Iannacci, nato a Milano qualche anno fa». E si sente anche medico? «Sono laureato in Medicina all'Università di Milano e ho esercitato per diversi anni». Quando ha incontrato la musica nella sua vita? «La mia carriera musicale è iniziata negli anni Cinquanta dopo il diploma in armonia. E poi ho lavorato con Tony Dallara e Giorgio Gaber. E con il gruppo si accompagnava in molte serate il non ancora famoso Adriano Celentano». E la televisione? «Mi ha dato tantissimo. Anche tanta popolarità. Con «Vengo anch'io, no tu no». E «teatro» a teatro, storie di gente comune, storie di Milano. «Sì, è anche la storia di ordinaria quotidianità. È la storia della mia Milano, è la storia di tutti noi. E "teatro" a teatro continua». Ma il momento a lei più caro di tutto lo spettacolo? «Il ricordo del mio caro papà».