«Solo lui può salvarci ma lo attaccheranno per le verità che dice»
Santità, Le parla una persona che La ammira molto. Che Le vuole bene, che Le dà ragione su un mucchio di cose... Però il seguente interrogativo devo porlo lo stesso: crede davvero che i musulmani accettino un dialogo coi cristiani, anzi con le altre religioni o con gli atei come me? Crede davvero che possano cambiare, ravvedersi, smettere di seminar bombe?». Quella domanda, glie l'aveva scritta sul "Corsera", e l'avrebbe poi ripetuta davanti a lui, nell'Aula degli Svizzeri di Castengandolfo, concedendosi il piccolo scandalo di una sigaretta tra le dita. Era il dialogo impervio ma solidale tra Benedetto XVI e Oriana Fallaci, la giornalista blasfema e il Pontefice teologo che si appella alla «Fede non disgiunta dalla Ragione» per scacciare lo spettro di una guerra di religione tra Islam e Occidente. Mezz'ora insieme, quel 23 agosto di un anno fa. Aveva chiesto lei l'incontro, sentiva l'Ombra avvicinarsi, e le parole più intime di quella conversazione non sono mai uscite dalle mura del Palazzo Pontificio. Quel che è certo, non affidò al suo interlocutore la salvezza della propria anima: non lo ha fatto neppure chiedendo all'amico Monsignor Fisichella di stringergli la mano l'altra notte, quando per un ultima volta ha alzato gli occhi al cielo prima di tuffarsi nel buio. Ma, al Papa tedesco, la Fallaci aveva consegnato le sue speranze per la salvezza del mondo cristiano. Lo aveva detto al "Wall Street Journal", due mesi prima prima di quell'udienza privata: «Non abbiamo più veri leader dalla fine del Ventesimo secolo. Ma mi sento meno sola quando leggo i libri di Ratzinger». Aggiungendo poi: «Io sono un'atea. E se un ateo e un Papa pensano le stesse cose, vuol dire che c'è qualcosa di vero». Ratzinger era appena stato eletto, e Oriana rinfoderava le armi dialettiche usate contro Wojtyla, dopo l'attentato alle Torri Gemelle: «È vero che tempo fa lei chiese ai figli di Allah di perdonare le Crociate fatte dai suoi predecessori per riprendersi il Santo Sepolcro? Boh! Ma loro Le hanno mai chiesto scusa per il fatto d'esserselo preso?». L'accusa di «debolezza contro l'Islam» a Giovanni Paolo II aveva provocato sconcerto in Vaticano. Con Ratzinger lo scenario era cambiato. La Fallaci vedeva in lui il faro dell'Occidente, ma temeva che il tentativo del Santo Padre di dialogare con l'Islam lo esponesse a equivoci, attacchi, fraintendimenti strumentali. Tre mesi fa accettò un passaggio sull'aereo di Stato che riportava Pier Ferdinando Casini da New York a Roma. Al leader Udc disse: «Ascoltate il Papa, è l'unico che può salvarci. Gliene combineranno di tutti i colori, per le verità semplici che ha dentro di sé». Una profezia, o quasi: che certo ha poco a che vedere con l'infondatezza della visione apocalittica dell'ultima Fallaci, che immagina un Occidente totalmente islamizzato, senza distinguere tra la scelta guerrafondaia dell'America e l'inevitabile prudenza di un'Europa chiamata a gestire gli irreversibili processi di integrazione con le diverse culture. Ma che "vedeva" con chiarezza il rischio al quale si esponeva il Papa filosofo di fronte al cieco assolutismo della scimitarra. Per la Fallaci non c'era mediazione, perché l'Islam era - neppure inconsciamente - il cancro da estirpare dalla coscienza del mondo, come quello che le ingombrava i polmoni, e che lei attribuiva ai pozzi incendiati da Saddam. Per quel Pontefice minacciato, eppure tanto fiducioso nelle sottigliezze della Ragione, provava una sorta di tenerezza filiale. Scriveva, Oriana: «A Ratzinger invidio, a volte, la tesi sul Dio Creatore, che risolve il rompicapo di chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, ma nella quale il mio ateismo vede solo una bellissima fiaba. Se Dio esistesse e se fosse buono e misericordioso, perché avrebbe creato un mondo così cattivo?». Quel mondo che, cinque giorni fa, ha frantumato la Parola del Papa a Ratisbona, trasformandola in una miccia accesa, quando Oriana era già troppo stanca per ripetere l