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De Oliveira fa il Buñuel e non sfigura

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NON è da credere ma, arrivato quasi alla soglia dei cento anni (è nato nel 1908), Manoel de Oliveira ci dà ancora un'altra delle sue opere maggiori. Questa volta, per mettervi mano, si è rivolto a uno dei capolavori del cinema. «Belle de jour» (Bella di giorno), diretto nel '67 da Luis Buñuel con una sceneggiatura del suo fido Jean-Claude Carrierè. Due Grandi cui de Oliveira ha voluto rendere apertamente omaggio ricorrendo, per questo suo nuovo film, a due personaggi al centro del loro: l'enigmatica Séverine che, pur amando il marito paralizzato, si dedicava a ore fisse, in un postribolo, a imprese sadomaso a pagamento, un amico di suo marito, il signor Husson, che l'aveva scoperta, ma che lei non era mai riuscita a sapere se aveva o no rivelato il suo segreto. «Belle toujours» (Bella sempre) ce li fa incontrare quasi quarant'anni dopo, sempre a Parigi, sempre negli ambienti ovattati dell'alta borghesia. Il signor Husson è ancora Michel Piccoli, Bulle Ogier, che ha preso il posto di Catherine Deneuve come Séverine, prima, riconosciutolo, lo sfugge, poi accetta un invito a cena con la speranza finalmente di sapere se l'altro aveva detto tutto al marito, ora defunto, o aveva taciuto. Rimanendo però ancora una volta delusa (e sconfitta) perché il signor Husson, pur amabile, più sadico di quanto non lo fosse stata lei nei suoi giochi erotici di un tempo, si sottrae con eleganza a qualsiasi ammissione. Attorno a questo schema, il film. Frutto ancora una volta di quel "cinema della parola" sempre perseguito dal suo attore, ma con una dinamica interna, una lucidità di dialoghi, una preziosità di immagini da conquistare subito, senza nessuna fatica. Si impongono non solo quei protagonisti, lui mefistofelico, lei pentita fino a desiderare di andare a chiudersi in un convento, ma un personaggio di fianco, un barista (con il volto di Ricardo Trepa sempre fedele a de Oliveira) che, con l'esperienza della tanta gente che incontra, commenta come da vicino le posizioni psicologiche alla base del film di Buñuel. E si impongono con malizia, un ricordo della misteriosa scatola offerta a suo tempo a Séverine da un suo cliente orientale (di cui si tace sempre il contenuto), e una geniale citazione del surrealismo di Buñuel quando, per per chiudere, nell'albergo di lusso dove si svolge la cena, si fa apparire una gallina nel vano di una porta. Come lo struzzo famoso nel «Fantasma della libertà»... Se Bulle Ogier nelle vesti di una castigata Séverine non può competere con la sulfurea Catherine Deneuve, Michel Piccoli rifà il signor Husson con gli stessi perfidi misteri. Per nulla inceppati dagli anni.

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