di GENNARO CESARO IL 26 gennaio 1910, su proposta del primo ministro Sidney Sonnino, Benedetto Croce ...
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Croce fu un ostinato neutralista. Nel 1920 Giovanni Giolitti lo chiamò al dicastero della Pubblica Istruzione, nel quale il fautore del divario tra "poesia e non poesia" impostò la riforma della scuola italiana sull'esame di Stato, angoscioso banco di prova per generazioni di aspiranti professionisti. Dopo una tiepida (mica tanto) simpatia, durata fino al 1925, il pensatore diventò un fiero oppositore del Fascismo, manifestando il suo dissenso con articoli nei quotidiani «Giornale d'Italia» di Roma, «Il Mattino» di Napoli e nelle pagine della sua «Critica». Il 20 aprile Giovanni Amendola sollecitò da lui un manifesto da contrapporre a quello degli intellettuali fascisti, capeggiati dal suo rivale Giovanni Gentile (è da ricordare, a tal riguardo, che il contrasto tra Croce e Gentile risaliva al 1912, al tempo, cioè, della prima opposizione del pensatore abruzzese all'attualismo gentiliano). Il manifesto crociano, firmato da centinaia di antifascisti, fu pubblicato il 1° maggio 1925 su diversi giornali. Il 1° novembre dell'anno successivo un gruppo di fascisti invase e devastò alcune stanze dell'appartamento napoletano di Croce, nel palazzo Filomarino. Il 25 maggio 1929, in Senato, il filosofo manifestò la sua aperta opposizione ai Patti Lateranensi stipulati fra Benito Mussolini e Pio XI. Il senatore Luigi Albertini, che per venticinque anni era stato direttore del «Corriere della Sera», fu il solo ad appoggiare la tesi crociana. L'8 settembre 1943, Croce fu costretto a rifugiarsi a Sorrento, prendendo alloggio nella Villa Tritone con una strabiliante vista sul golfo di Napoli. Dopo alcuni giorni, alla notizia che i tedeschi stavano per occupare la città nativa di Torquato Tasso, il filosofo fu trasferito nottetempo a Capri a bordo di un motoscafo insieme con le figlie Elena, Lidia e Silvia. Ritornato in terra sorrentina, vi rimase nove mesi. Non sussistendo le condizioni di un reale pericolo, ci fu chi non mancò d'insinuare che, tutto sommato, la trasferta sorrentina del filosofo era da considerare alla stregua di una semplice vacanza. Va ricordato che fu a Villa Tritone che lo scrittore polacco Gustaw Herling conobbe la figlia del filosofo Lidia, che divenne poi sua moglie. Ritornato a Napoli il 29 gennaio 1944, al Congresso antifascista di Bari, Croce pronunciò un ardente discorso sulla libertà. Nell'aprile dello stesso anno fu nominato ministro senza portafoglio nel governo Badoglio. Nel 1946 prese parte al Congresso del Partito liberale, del quale era presidente e nume tutelare. Due anni dopo, profondamente nauseato, abbandonò la politica per sempre. Questo, per sommi capi, il "curriculum" politico di Croce. Memore dell'opinione di Francesco De Sanctis, secondo il quale «si fa buona politica, sempre che si attenda con serietà al proprio compito», il pensatore abruzzese si era sempre tenuto lontano dalle beghe dei partiti, raro esempio di indipendenza morale nella conclamata patria del trasformismo. Non sembra, tuttavia, che fosse riuscito simpatico a tutti. Ecco, per esempio, che cosa pensava di lui Vittorio Emanuele III: «Un uomo di pensiero, un cervello di primissimo ordine, però, io l'ho avuto due anni come ministro e non mi è piaciuto molto. Non mi piaceva...».(cfr. «Confidenze segrete di Vittorio Emanuele III» su «Epoca del 16 agosto 1953). A suo tempo, Palmiro Togliatti, membro del governo di coalizione, confidò a un amico che Croce, nel corso delle sedute del consiglio dei ministri tenutesi a Salerno «era solito abbandonarsi a lunghi sonni, mentre i colleghi del gabinetto si affaticavano intorno ai vari problemi del momento». Questa sorprendente testimonianza la fornisce il compianto Guglielmo Peirce, nel suo libro «Pietà per i nostri carnefici» (Longanesi, Milano, 1951). Pare che gli un