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Film italiani maltrattati ma la prova di Castellitto è già un classico

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La Mostra, del resto non ne è responsabile perché, a leggerli sulla carta, i nomi dei suoi componenti non davano adito a riserve. Vediamo invece, da vicino, i meriti di Venezia 63 che hanno riconfermato il fiuto, l'intelligenza e la sensibilità del suo direttore Marco Müller e le ormai collaudate capacità di selezione dei suoi esperti Luciano Barisone, Fulvia Caprara, Enrico Magrelli, Claudio Masenza e Ranieri Polese. Comincio, naturalmente, con il cinema italiano, che mi è più caro e sempre più dimostra di saper allineare tra le sue fila autori all'altezza del suo passato migliore. In primo piano, con un premio, è stato messo Emanuele Crialese che con «Nuovomondo», ha felicemente confermato quelle doti in equilibrio fra realismo di cronaca e visionarietà che già lo avevano imposto con «Respiro». Al suo fianco, con meriti eguali, tengo ad inserire il film splendido di Gianni Amelio, «La stella che non c'è», sorretto anche questo da realistiche intenzioni di cronaca però trasfigurate da riflessioni psicologiche portate fino alla soglia dell'intimismo. Con il contributo di quella superba interpretazione del suo protagonista, Sergio Castellitto, il cui lunghissimo primo piano finale, tra il pianto e la pacificazione, ha già trovato il suo spazio nella storia del cinema di oggi. Non dimentico, però, e non solo per il Leone speciale dedicato alla loro carriera, il film, sempre italiano, «Quei loro incontri», realizzato da una celebre coppia di francesi, Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, confronto severo fra la letteratura (un testo di Cesare Pavese) e un cinema che non ha paura dell'immobilità di una recitazione quasi astratta che prescinde perfino dal teatro. Da loro, arrivo a un Grande del cinema francese, Alain Resnais che con «Coeurs» - nelle nostre sale si intitolerà «Piccole paure condivise» - ha mostrato come la letteratura (ancora una volta, dopo «Smoking/No Smoking», sempre Alan Ayckbourn) si possa sublimare in un cinema di altissimo livello. Perfetto nei modi, nei ritmi, nelle immagini, nell'interpretazione. E ingioiellato da dialoghi con cui si dedica quasi un monumento alla lingua francese parlata oggi. Come in certi film di Eric Rohmer. Di importanza identica il cinema inglese. Sia quello firmato da Stephen Frears con «The Queen», la rievocazione forse non autentica ma artisticamente verosimile di un dubbio della Regina Elisabetta al momento dei funerali di Lady Diana. Sia quello firmato dal messicano Alfonso Quaron, «The Children of Men», una fantascienza che è storia e cronaca ad un tempo. Con immagini cariche d'angoscia, luci plumbee, un sonoro traboccante di echi sinistri. Mentre gli schemi e i modi si affidano a una violenza quasi inaudita. Sempre controllata, però, da un forte senso del cinema. Al cinema inglese va affiancato, sia pure con meriti meno indiscutibili, quello americano. Il film di Brian De Palma con cui si è aperta la mostra: «Black Dahlia», un solidissimo thriller ispirato a un romanzo di James Ellroy (già approdato al cinema con «L.A. Confidential» di Curtis Hanson). E la cronistoria polifonica sull'assassinio di Robert Kennedy, «Bobby» di Emilio Estevez, in cui l'emozione, pur sorvegliatissima, abilmente si dispiega in una triplice chiave, Quella psicologica, quella sociale e quella politica. Non è mancato un osservatorio sul nuovo cinema russo, «Euforia», dell'esordiente Ivan Vyrypaeva, in cui il tema più che noto del triangolo ha saputo affidarsi a toni sospesi, in armonia con psicologie recepite tra le asprezze di cornici naturali che vedono sempre in primo piano la steppa e il Don. Non è venuta meno, naturalmente, l'attenzione sempre riservata al cinema asiatico (Müller è un espertissimo sinologo). Fra i tanti film scelti in Giappone, in Tailandia, a Taiwan, è giusto citare almeno con tutta la dovuta simpatia, il film cinese che ha ottenuto il Leone d'oro, «Sanxia Haoren» (titolo internazionale «Still Life») di Jia Zhang-Ke, in cifre di una costante desolazione poetica: con un implicito pessimismo sulla Cina di oggi che, sott

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