La scelta del critico
Liti in famiglia raccontate con eleganza
Una madre divorziata, ancora piacente, con due figli gemelli, già adulti. L'ex marito viene ogni tanto a vederli ma lei, che sta cominciando ad avere una relazione con un altro, lo accoglie con asprezza tanto che ogni loro incontro finisce in lite. I figli son cresciuti in quei climi ostili così pur essendoci tra loro i legami stretti che in genere ci sono tra i gemelli, si azzuffano facilmente, prendendosela molto, soprattutto uno dei due, con la madre, specie quando, per rifarsi una vita, medita di vendere la bella casa in mezzo alla campagna in cui vivono. Sarà proprio questo per una questione futile, a scagliarsi contro l'altro fratello fino a provocare un incidente molto grave. Però servirà a rimettere tutti insieme e, un po', a ravvicinare la donna all'ex marito. Molto intimismo. Molti scontri verbali proposti soprattutto a tavola, a cena o a pranzo. Il disegno dei gemelli, dissimili fisicamente, tende a differenziarli anche nei caratteri, quello della madre segue un tormentato itinerario tra frustazioni e rivolte. Con un buon equilibrio narrativo e molta suggestione nelle immagini. Al centro, nelle vesti della protagonista, Isabelle Huppert con la sua abituale recitazione dimessa e, quando serve, sofferta. Dopo il film belga in serata, si è visto ieri, a metà pomeriggio, un'opera difficile e severa, firmata da una delle coppie più austere del cinema internazionale, composta da due francesi, Jean-Marie Straub e Daniele Huillet attivi da anni anche nel cinema tedesco e, da un po' di tempo, in quello italiano. Il film si intitola «Quei loro incontri» ed è la riprosposta degli ultimi cinque «Dialoghi con Leucò» di Cesare Pavese. Un testo cui i due autori si erano già accostati alla fine dei Settanta, rifacendosi ad altri dialoghi, con un loro film dal titolo «Dalla nube alla resistenza». Dei cinque dialoghi scelti ora, tre sono fra gli Dei, uno è fra una Dea e un uomo, l'ultimo è fra due uomini. I temi sono il mito, l'immortalità, le pene degli uomini, con molte reciproche attenzioni anche se, da parte degli Dei nei confronti degli uomini, si intuisce spesso della commiserazione. La loro rappresentazione è affidata a uomini e donne in abiti moderni ma rustici, che ora tra gli ulivi, ora vicino a una cascata, ora tra selve e monti rocciosi, con immagini quasi sempre immote, scandiscono il testo di Pavese. Dico «scandiscono» perché non lo recitano. A voce alta, evitano infatti non solo le coloriture e le accentuazioni, ma anche la fluidità di un discorso interrotto volutamente ogni volta che la riga, nella frase scritta, finisce. Con pause che un interprete normale non accetterebbe. Un esperimento senza concessioni, il cinema rarefatto che è da sempre il segno dei due autori. Da considerare con rispetto.